martedì 11 ottobre 2016

Cymru #9



Ancora qualcosa delle mattine dei miei vent’anni, quando era estate, quella stessa luce e quella calma e ci svegliavamo e facevamo colazione sul patio della tua casa al mare, altre sensazioni che devo abbandonare, altri luoghi che non rivedrò mai più. C’erano maschere grottesche negli angoli delle pareti e ragnatele e polvere e dormivo su un materasso buttato per terra e c’era un quadro con il disegno di un cappotto e il ritratto a matita di un fratello impazzito troppo presto, un gatto scomparso chissà dove e la luna piena che di notte richiamava maree e sogni, i fiori di oppio appassiti sul davanzale e quelli ancora vivi dentro la piccola serra e il coltello nella mia mano e le incisioni e il liquido bianco che colava su una sottile lamina di metallo e io che lo raccoglievo e lo lasciavo seccare al sole e dopo qualche giorno diventava di un colore marrone scuro, facevo delle piccole palline e l’oppio era pronto, lo ingerivo nelle lunghe sere, prima di stendermi sul materasso, avrei dovuto trovare una pipa o forse, come spesso accadeva, sarebbe stata lei a trovare me e le passeggiate sulla spiaggia, i ciottoli e le pietre, le scogliere nere e le rocce millenarie, strati di epoche remote, le conchiglie e i fossili e l’interminabile moto dell’universo quando lo osservavo sotto gli effetti della psilocibina, le stelle che formavano coreografie lucenti e danzanti, qualcuno aveva passato un anno intero dentro uno chalet di legno a coltivare funghi magici, ne avevo scoperta una busta piena, in un cassetto, erano secchi e ancora potenti e proseguivo il mio apprendistato tramite i loro insegnamenti.
Il mio corpo nudo steso sulla pietra, il cazzo che si induriva mentre osservavo delle giovani ragazze camminare sulla sabbia, entrare fra le onde, le risate d’argento, le loro natiche nel riverbero dorato del mezzogiorno, il dito medio fra quelle natiche, a giocare con il buco del culo, mentre la mia saliva colava dalle tue labbra e scivolava tra i seni, ti succhiavo e mordevo i capezzoli, un uomo nudo, il cazzo enorme che si muoveva nello spazio giallo e le forme tremolanti di una visione, le copulazioni violacee, la mente che si allarga in maniera concentrica, inarrestabile conquistatrice, le mie mani sul culo di una ragazza mentre spingo la cappella rossa e gonfia contro il suo ano stretto, mi inginocchio per leccarlo, c’è stato un modo diverso di amarti nella calda brezza che spostava le tende, fra questi ennesimi ricordi che si muovono come bianche vele all’orizzonte.

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