Nicki
si ferma in mezzo alla strada, scendo dalla macchina e inizio a camminare verso
le banchine del piccolo porto. Il cielo è grigio e in lontananza ci sono sagome
mistiche di montagne, minuscole luci rosse lampeggianti nell’aria, gli uccelli
marini che volteggiano e fischiano, una leggera pioggia che accarezza le foglie
degli alberi, ormai gialle e arancioni e pronte a cadere, perché come ripetevano
i saggi nulla era destinato a durare. Mi infilo il cappello di lana nero in
testa e metto le mani dentro le tasche calde del giaccone imbottito, supero una
vecchia struttura industriale, mi fermo per qualche minuto ad osservare i
grandi tubi turchesi, le reti metalliche che impediscono di arrivarci, la
sporcizia lungo il perimetro e le bottiglie rotte, gli avanzi di cibo dentro i
contenitori di plastica, le siringhe e gli aghi, l’eroina era arrivata anche
qui e difficilmente se ne sarebbe andata. Dentro i cessi pubblici c’erano delle
cassette attaccate ai muri dove i tossici potevano lasciare i loro strumenti di
dolore ed estasi. Arrivo al pier e
non c’è nessuno, supero il cancello aperto e cammino in questa solitudine fatta
di legno e metallo, intervalli di panchine vicino alle ringhiere bianche e blu
e immagini improvvise dell’estate. C’era una schizofrenia climatica che
influenzava le menti delle persone che vivevano in questi luoghi ed era del
tutto lecito lasciarsi andare, impazzire, adottare uno stile di vita
stravagante, indossare vestiti colorati e farsi crescere barba e capelli. Bastava
un sorriso per risolvere i problemi e un’occhiata per intendersi e su quelle
panchine, i ragazzi e le ragazze, quando il sole decideva di rendere gloriose
le giornate, imparavano a baciarsi e a toccarsi, le mani tra le cosce nude di
una giovane fanciulla, i peli della sua fica umidi, c’era un tempo in cui anche
queste cose avevano avuto importanza, il fascino della scoperta e del proibito,
poi imparavamo i trucchi della vita, soprattutto quando le cicatrici si
facevano troppo profonde e difficili da guarire.
A
metà del pontile la pioggia è diventata più forte, obliqua e fredda e picchiava
contro il giaccone e i miei vestiti e non c’era nessun posto dove ripararsi e
allora ho deciso di tornare indietro, perché c’era un lavoro che dovevo fare e
i ricordi e le speranze li ho lasciati su quelle assi di legno, insieme alla
sborra che mi colava dal cazzo in una delle stanze segrete di Berlino. Ero completamente
fradicio e ho camminato verso il porto, la piccola barca era dove doveva
essere, sono salito, intorno non c’era ancora nessuno, ho aperto una cassa di
legno che si trovava sotto una tela cerata e ho preso i panetti di hashish
ancora imballati, erano una mezza dozzina, li ho messi nella borsa di plastica
piegata che mi ero portato dietro, ho richiuso la cassa e poi sono tornato verso
la strada. Avevo ancora un pò di tempo a disposizione e sono entrato in un
locale a bere un caffè, aveva smesso di piovere ed ero ancora fradicio e volevo
un po’ di calore, non quel tipo di
calore, ma la semplice sensazione di sedermi in un luogo asciutto con qualcosa
di caldo fra le mani. Lungo le vie le riconoscevo subito le persone che avevano
deciso di oltrepassare lo specchio, erano simili a me e io a loro, i tossici
con le mani tremanti e una sigaretta fra le dita. Ho ordinato il caffè e l’ho
bevuto lentamente, guardavo fuori dalla vetrata le donne che passavano, ho
sentito l’inizio di un’erezione quando il culo di una ragazza è apparso
rinchiuso in dei pantaloni neri che ne risaltavano le forme, sono uscito, la
tazza era ormai vuota, pensavo di seguire quelle chiappe per vedere quanto mi
sarebbe diventato duro, poi ho lasciato perdere, era tempo di andare al
parcheggio e incontrarmi con Nicky. Lei era lì ad aspettarmi, uno sguardo di
intesa, senza parlare, sono salito in macchina, lei ha messo in moto, i vestiti
ancora bagnati, lei ha acceso la radio, io ho sistemato la borsa di plastica
sotto il sedile, fuori il paesaggio scorreva, lo guardavo andar via senza
pensare a nulla, perché non c’era più niente che avesse realmente importanza in
quelle immagini in movimento che si ripetevano all’infinito.
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