mercoledì 26 aprile 2017

Tan y Graig #6

Elizabeth veniva a trovarmi di notte, usciva da un armadio bianco, nella stanza dove dormivo. Si sedeva su uno sgabello, accavallava le gambe e accendeva una sigaretta. Da sotto le coperte la guardavo, lei mi diceva di non vergognarmi, allora mi alzavo, completamente nudo, lei sorrideva e poi mi proponeva di indossare i suoi abiti, le vestaglie, il vestito del giorno del suo matrimonio, quello azzurro, per le serate di ballo, mi andavano alla perfezione, lei spegneva la sigaretta e prendeva la sua macchina fotografica, mi faceva mettere in posa e scattava, i guanti lunghi, oltre il gomito, le calze velate, le scarpe con il tacco, mi passava un po’ di rossetto sulle labbra e poi mi baciava delicatamente.

Alcune volte mi raccontava delle storie, di quando era ragazza, dei luoghi dove aveva vissuto, poi prendeva una vecchia scatola di metallo, la apriva, c’erano delle piccole fiale dentro, morfina ed eroina, preparava la siringa e mi faceva un’iniezione, le mie pupille diventavano minuscoli buchi neri, posso vedere la tua anima, diceva lei, mentre mi massaggiava il braccio e i soli esplodevano nel corpo, ti hanno mai fatto un clistere? Sussurrò una notte. No. Vuoi provare? Non mi piace che mi infilino cose nel culo. Ne sei sicuro? No. Guardavamo il buio silenzioso e oscuro, devo andare, sussurrò lei. Dove? Ovunque tu non possa raggiungermi. Una foto sul comodino, la mattina dopo, lei nel suo vestito bianco, il giorno del suo matrimonio, meravigliosa, avresti dovuto sposarmi, mi disse una volta, non sarei stato un buon marito, risposi, avremmo dormito ogni notte insieme, non riesco ad immaginare nulla di più terrificante. Il sorriso sulle sue labbra era dolce, i suoi occhi leggermente socchiusi, avrei voluto essere la luce che li illuminava, solo per far parte della bellezza di quell’attimo prima che la morte lo trasformasse nel pallido riflesso di un ricordo.

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