venerdì 28 aprile 2017

Ebbrezza alcolica (2006)


Avevamo passato tutta la settimana a sbronzarci. La notte era veramente un momento magico in cui qualsiasi cosa poteva accadere. Ricordo che la bottiglia di rosso stretta nella mia mano era un appiglio sicuro. La mia voce si modificava, si faceva più profonda, roca (forse a causa di tutte le sigarette che fumavo), i miei discorsi erano sempre interessanti e io diventavo il centro dell’attenzione. Sulla spiaggia la musica arrivava da uno stereo oppure c’erano tre o quattro ragazzi ubriachi che suonavano (chitarre e bonghi) e altrettanti che cantavano con voci decisamente stonate.
Mi limitavo ad immergermi nel flusso delle cose senza preoccupazioni. Una sera non avevo retto (il mirto è una brutta bestia) e quando le stelle avevano iniziato a farsi più vorticose mi ero spostato leggermente dal sacco a pelo sul quale ero disteso e avevo vomitato. Ma la ciucca sembrava non passare, mi ero rimesso in piedi e non so come ero arrivato nella mia tenda dove molto verosimilmente ero svenuto.
La mattina era solo luce. E una leggerezza in testa che mi proiettava verso fantasie impossibili. Rimanevamo così, io e gli altri, allo stato bruto, distesi fuori dalla tenda. Chi su un’amaca, chi su uno stuoino direttamente buttato sulla nuda terra, chi si alzava per andare a cacare e chi non si vedeva proprio e ci chiedevamo (ma senza nessuna importanza) che fine avesse fatto.
La luce penetrava le mie palpebre, la mia mente, il mio pensiero razionale. Dopo due ore di questa estasi tornavo lentamente dentro me stesso, nelle mie convinzioni, nella mia normale scontrosità.
Una doccia era il modo migliore per iniziare la giornata, poi un pò di sole sulla spiaggia, un panino, una corona nel dopopranzo. Se mi diceva bene (cioè quasi sempre) mi addormentavo all’ombra di qualche albero fino a quando (verso le sei o le sette) il sole non iniziava di nuovo a calare e io mi dovevo preparare per vivere un’altra notte.
In quel periodo non pensavo al sesso o forse non c’erano ragazze che mi piacessero o molto più semplicemte non avevo voglia di scopare e se il cazzo mi tirava me ne andavo sotto la doccia a farmi una sega.
Poi mi lavavo. I capelli, il corpo, tra le gambe. Rimanevo tanto tempo sotto lo scroscio dell’acqua, fantasticando sui doni che la notte mi avrebbe portato.
Le prime birre iniziavano a girare quando il cielo era ormai violaceo e l’oscurità si vedeva avanzare. I colori cambiavano velocemente e la birra scendeva nello stomaco che ruggiva di disapprovazione. La cena consisteva in un piatto di pasta con un sugo improvvisato o in qualche fettina fatta alla brace o in complesse ricette a base di tutto quello che trovavamo. Non mi interessava mangiare bene, quello che volevo era l’estasi alcolica. Era lo spirito di Dioniso. Era il dio che veniva a farmi visita.
Indossata la mia maschera potevo fare tutto quello che mi passasse per la testa.
Potevo parlare, scherzare, ridere senza che me ne importasse nulla del giudizio altrui. Esattamente come avrebbe sempre dovuto essere.
Finita la cena erano le bottiglie di rosso a venire aperte, qualcuno girava delle sigarette di tabacco (golden virginia) perchè fumo non ne avevamo, un paio di sere però rimediammo un pò d’erba.
Non so come la busta con l’erba finì tra le mie mani, la nascosi e sulla spiaggia, quando fummo tutti in circolo, iniziai a rollare canne a raffica.
Fumavo e rollavo, facendole girare alla mia destra e alla mia sinistra, intanto se il vino finiva qualcuno si preoccupava (molto gentilmente) di aprire un’altra bottiglia.
L’ultima notte ero triste e malinconico, non tanto per la partenza quanto per il fatto che il mio stomaco si era rifiutato di accettare altro alcool. Avevo provato con una birretta, ma un brontolio profondo e acido mi aveva persuaso dal continuare. Così, lucido, sulla spiaggia, con tutti intorno fui colto da uno dei miei momenti di spaesamento e profonda tristezza. Tutto mi appariva squallido e senza senso, la gente che cantava ubriaca, quelli che ci provavano con qualcuna delle ragazze (mai ritornare da una vacanza senza aver scopato), quelli che volevano a tutti i costi divertirsi e ridere. Io me ne stavo steso da una parte a guardare le stelle, sempre più scocciato dalle persone che avevo intorno, dai loro discorsi e dalle loro risate. Poi qualcuno iniziò a salutare qualcunaltro (il giorno dopo saremmo partiti), qualcuno si mise a piangere e io mi alzai in piedi e dissi un qualcosa a proposito del fatto che dovevo andare al cesso. Presi il mio sacco a pelo e me ne tornai in tenda, da solo.
Accesi lo stereo e misi su the dark side of the moon dei pink floyd. Cercai di non pensare e di dormire ma fu tutto inutile, quando arrivò us and them finalmente piansi. Terminate le lacrime scomparsero anche la mia tristezza e il mio dispiacere.
Misi l’album da capo e mi addormantai.
La mattina dopo mi svegliai con marco accanto (dormivamo nella stessa tenda), lo salutai, mi chiese che fine avessi fatto la notte prima, farfugliai qualche stronzata, non mi chiese altro, dicemmo due cazzate per farci una ghignata e iniziammo a preparare la nostra roba.
Poi, verso le cinque, qualcuno ci portò alla banchina dove la nostra nave sarebbe partita tra non molto. Salimmo e ci sedemmo ad un tavolino. marco mi chiese se volessi una birra, sentii il mio stomaco cosa avesse da dire, meglio di no, risposi.
Lui se ne prese una e io da bravo bambino mi succhiai un gelato.
La nave partì e noi salutammo dal ponte qualcuno che era rimasto a terra, poi ci facemmo un giro per le sale e cazzarammo un po’, incontrammo alcuni ragazzi che ci offrirono da fumare e ridemmo e scherzammo e poi arrivò di nuovo la notte e noi ci addormentammo su una panca di legno (ancora un pò stravolti) e ci lasciammo trasportare dal mare e proteggere dalle stelle.
La mattina seguente vedemmo l’alba e un nuovo mondo e tutto quello che ancora avremmo dovuto vivere.
Mi andai a lavare i denti e a pisciare.
Raccattamo la nostra roba e scendemmo dalla nave, mio padre era venuto a prenderci, lo salutammo e salimmo sulla sua macchina.
Il viaggio di ritorno fu comodo e confortevole, parlammo un pò con mio padre e poi io mi addormentai ascoltando la musica che usciva dallo stereo della macchina (miles davis, credo).
Quando riaprii gli occhi eravamo sotto il palazzo dove abitavo, mio padre stava parlando con marco, scendemmo e scaricammo la roba, poi salutai marco e insieme a mio padre salii su casa.
Ecco di nuovo la mia stanza, le mie cose, i libri, i cd, i miei sogni, le mie illusioni, le aspettative, l’attesa della gloria, l’amore, il sesso, le dolci gambe da toccare, i piedi da leccare, le labbra della fica da succhiare e riempire di saliva. La mia stanza e tutto quello di cui avrei avuto così maledettamente bisogno.

Sussurai sono tornato e mi stesi sul letto chiudendo gli occhi.

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