mercoledì 12 aprile 2017

Tan y Graig #5


I ricordi arrivavano come sequenze, un montaggio discontinuo in cui il tempo perdeva il suo significato, i tagli erano improvvisi e senza nessuna successione logica. Dall’archivio della memoria venivano prese in maniera casuale serie di immagini e montate, da qualche parte, tra di loro. Le guardavo con distacco, era l’unico modo per non immedesimarsi, perché potevano esserci dei collegamenti tra quello che vedevo e le mie emozioni: lacrime, sorrisi, ansie o frammenti di gioia. C’era anche la consapevolezza che ogni cosa era stata vissuta e ripetuta in tutte le sue possibilità e si ritornava sempre al punto di partenza e non importava la nostra età, perché gli anni non erano altro che un’invenzione per dare un nome a questo perenne cambiamento e i giorni il modo in cui il Sole girava intorno alla Terra, solo uno degli infiniti moti dell’universo. Qualcuno aveva creato orari e calendari per il gusto di rendere visibili le sbarre che ci imprigionavano e dentro quelle gabbie, prima o poi, finivamo per essere rinchiusi tutti quanti.
Nello scorrere di ogni fenomeno e nel suo manifestarsi era possibile connettersi con la realtà e farne parte, rallentare i pensieri fino a fermarli nella pura contemplazione, agire quando necessario, parlare il meno possibile. Gli uccelli si alzavano in volo a gruppi, il rumore delle ali che sbattevano contemporaneamente sembrava un lieve applauso, la cui eco scompariva nell’aria, i piccoli stormi formavano figure molecolari nel cielo, dai contorni instabili che mutavano a ogni istante, impossibili conoscenze di una geometria piana applicata a una creazione dadaista. Altre composizioni sui rami spogli, le piccole sagome nere disegnate contro il grigio pallido di un cielo nebbioso, un nuovo applauso, le foglie hanno ali e si staccano dagli alberi, rivoluzioni gravitazionali e attrazioni magnetiche, i minuscoli corpi diventano un’ennesima figura, un insieme elastico in movimento nel vuoto.
Un vecchio camminava solitario nel bosco, il bastone di legno in una mano e un canestro nell’altra, i suoi respiri lenti, il vociare degli alberi, guardare con attenzione il suolo era un modo per capire la complessità di questo mondo, le foglie umide, la terra, i sassi, i funghi, le radici, il muschio, i vermi, gli insetti, i tronchi, i cespugli, i rami, i colori e le forme si mischiavano in inganni mimetici, poi l’amanita muscaria con il suo rosso pieno e brillante, i puntini bianchi come minuscole luci ad intermittenza.

Parlavamo con gli sguardi tra le lenzuola di un letto ancora caldo, trascinavo le abitudini di una vita che avevo lasciato da qualche parte, una tristezza che mi portavo dietro, proprio nel fondo del cuore, eri tu, Maria e i giorni che ci eravamo regalati e gli ultimi abbracci e tutte le lacrime che non vorrei più piangere.

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