I
ricordi arrivavano come sequenze, un montaggio discontinuo in cui il tempo
perdeva il suo significato, i tagli erano improvvisi e senza nessuna successione
logica. Dall’archivio della memoria venivano prese in maniera casuale serie di
immagini e montate, da qualche parte, tra di loro. Le guardavo con distacco,
era l’unico modo per non immedesimarsi, perché potevano esserci dei
collegamenti tra quello che vedevo e le mie emozioni: lacrime, sorrisi, ansie o
frammenti di gioia. C’era anche la consapevolezza che ogni cosa era stata
vissuta e ripetuta in tutte le sue possibilità e si ritornava sempre al punto
di partenza e non importava la nostra età, perché gli anni non erano altro che
un’invenzione per dare un nome a questo perenne cambiamento e i giorni il modo
in cui il Sole girava intorno alla Terra, solo uno degli infiniti moti
dell’universo. Qualcuno aveva creato orari e calendari per il gusto di rendere
visibili le sbarre che ci imprigionavano e dentro quelle gabbie, prima o poi,
finivamo per essere rinchiusi tutti quanti.
Nello
scorrere di ogni fenomeno e nel suo manifestarsi era possibile connettersi con
la realtà e farne parte, rallentare i pensieri fino a fermarli nella pura
contemplazione, agire quando necessario, parlare il meno possibile. Gli uccelli
si alzavano in volo a gruppi, il rumore delle ali che sbattevano
contemporaneamente sembrava un lieve applauso, la cui eco scompariva nell’aria,
i piccoli stormi formavano figure molecolari nel cielo, dai contorni instabili
che mutavano a ogni istante, impossibili conoscenze di una geometria piana applicata
a una creazione dadaista. Altre composizioni sui rami spogli, le piccole sagome
nere disegnate contro il grigio pallido di un cielo nebbioso, un nuovo
applauso, le foglie hanno ali e si staccano dagli alberi, rivoluzioni
gravitazionali e attrazioni magnetiche, i minuscoli corpi diventano un’ennesima
figura, un insieme elastico in movimento nel vuoto.
Un
vecchio camminava solitario nel bosco, il bastone di legno in una mano e un
canestro nell’altra, i suoi respiri lenti, il vociare degli alberi, guardare
con attenzione il suolo era un modo per capire la complessità di questo mondo,
le foglie umide, la terra, i sassi, i funghi, le radici, il muschio, i vermi,
gli insetti, i tronchi, i cespugli, i rami, i colori e le forme si mischiavano
in inganni mimetici, poi l’amanita muscaria con il suo rosso pieno e brillante,
i puntini bianchi come minuscole luci ad intermittenza.
Parlavamo
con gli sguardi tra le lenzuola di un letto ancora caldo, trascinavo le
abitudini di una vita che avevo lasciato da qualche parte, una tristezza che mi
portavo dietro, proprio nel fondo del cuore, eri tu, Maria e i giorni che ci
eravamo regalati e gli ultimi abbracci e tutte le lacrime che non vorrei più
piangere.
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