lunedì 5 aprile 2021

Cigarrones #18

 Quello che dovrei fare è dimenticarmi di questo luogo e dei suoi abitanti del subconscio, diceva lo scrittore, dimenticare il motivo per il quale sono arrivato fino a qui, reinventarmi la vita, un nuovo ruolo, una nuova maschera, un impensato personaggio, tra l’idiota e l’osceno, e lasciare ondeggiare nell’oblio delle sostanze sintetiche i volti del passato, ormai invecchiati, il mio compreso.

John era sceso da Torvizcon fino a Cigarrones in un giorno imprecisato alla fine di maggio, aveva camminato per quasi sette ore e si era fermato a dormire sul divano rosso sfondato che si trovava nell’area del mercatino. Io avevo rimediato una piccola tenda nella quale passare le mie notti di orgoglio&abbandono. Il giorno seguente aveva piovuto parecchio, stranamente e John aveva deciso di tornarsene a Torvizcon (cosa fosse venuto a fare a Cigarrones non mi era ben chiaro) e Paul lo aveva seguito e poco dopo che si erano messi in marcia la pioggia aveva iniziato a cadere, sempre più forte e mi chiedevo, mentre ero seduto su un altro divano sfondato, se avessero trovato un riparo, non so, una grotta o un albero, poi i pensieri si sono disciolti e ho continuato a sorseggiare la mia birra, ascoltando il rumore della pioggia sulle lamiere di metallo che ricoprivano il mercatino e mi proteggevano dal temporale. Pensavo anche alla mia tenda e speravo che resistesse bene con questo tempo. Alle brutte avrei passato un’altra notte sul divano sfondato con il mio sacco a pelo.

Avevo parlato un pò con John degli Hawkwind e gli avevo raccontato di quando avevo incontrato Nick Turner, ormai quasi ottantenne, di ritorno da Malaga, lo accompagnava un amico di Samara che lei aveva riconosciuto sull’aereo che ci stava riportando a Bristol. Una volta a terra l’amico di Samara ci aveva offerto un passaggio fino a Bryn y Blodau e avevamo scaricato Nick nella sua casa, dispersa nella campagna gallese, prima di arrivare alla nostra terra promessa.

John fumava costantemente erba, aveva la barba lunga e un cappello tipo cowboy schiacciato ai lati, mi ricordo che una volta aveva cantato qualche canzone rock/blues in una delle serate musicali di Cigarrones, la sua voce era spezzata e roca e dolorosa e urlante e folle, io ero naturalmente già sbronzo, fra il pubblico e come al solito non avevo capito un cazzo di quanto era successo.

Mi piaceva, alcune volte, scrivere sulla panchina davanti all’eremo di San Sebastian, c’era silenzio intorno (e dentro al mio cuore) e la temperatura era perfetta, il calore sul collo, l’oro nella mente, il diamante splendente della realtà che vibrava nel vuoto delle nostre illusioni, la pallida e innocua presenza del vento, una croce di pietra a testimonianza di tutto l’inutile dolore della nostra candida e sadica precarietà.

Oggi era già ieri e domani non è mai esistito.

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