martedì 6 aprile 2021

Orgiva #31

 Cupe nubi intono alla cima della montagna, il profilo del volto di un gigante addormentato, le linee stilizzate di una maschera africana, Modigliani a Parigi e improvvisi e dolorosi squarci di luce nel cielo e il vento fra le palme e i ricordi di Saigon, di una stanza d’albergo distrutta, dell’odore del sangue e del napalm, delle ferite dell’anima e delle bottiglie di vodka ormai in frantumi.

La danza della polvere nelle mattine dell’infanzia che inaspettata si ripeteva in questa assenza di stimoli, impulsi, progetti, aspettative, meglio così, suggeriva lo scrittore, che cazzo te ne frega di fare qualcosa quando è la vita a trascinarti con lei, impara ad oziare, a startene a letto, non che mi riesca così difficile, dopotutto, suggeriva la mia ombra mentre si grattava allegramente il culo infilandosi un dito nell’ano.

L’unica energia che ancora sentivo fluire era quella che mi passava nei coglioni, ogni giorno più gonfi, la sublime attesa di scopare o sborrare o essere punito, i soliti trucchi della mente e dell’immaginazione, l’attesa di un contatto, di una carezza, di uno schiaffo.

Ci è stata data un’educazione sbagliata nelle marce aule di scuole fatiscenti, eravamo seduti in classi putride, dove i fantasmi di un secolo passato e dimenticato raccontavano le loro sconfitte e scrivevano temi di sconvolgente inutilità, rispondendo a domande germinate nel buio di un pensiero che mai sarebbe fiorito nei giardini segreti e seducenti della creatività artistica, eravamo stati ingabbiati in un mondo disinteressato agli insegnamenti della bellezza, ci avevano solo lasciati liberi di appassire nel ricordo di qualcosa che nessuno appunterà mai ai margini di un libro di storia o di estatica estetica - Meglio così, gridava uno degli scimpanzé saliti in cattedra nell’Università Balinese - Eiaculazioni filologiche e sperma pandemico e ‘fanculo al vagire delle vagine viaggianti.

Voci obliate, volti cancellati, discorsi come echi di discussioni fallite.

Ombre di erezioni alla sera, quando tutti tornano a una casa che non è mai stata la loro, ci divertiamo a smarrirci nelle menzogne che ci raccontiamo, ci abbracciamo per condividere il peso soffocante delle nostre solitudini, non ricordo come sono giunto fino a te e presto troverò un’altra immaginaria ragione per andarmene via da questi muri e dai nomi che dita tremanti, in un giorno di resa e abbandono, hanno scritto sulle loro superfici ondulate e lucenti, nel riverbero di una crisi di astinenza che solo i più stolti chiameranno ancora amore.

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