venerdì 9 aprile 2021

Orgiva #32

 Non credo che si potessero superare i limiti del paese (quali limiti? Mentali? Fisici?) o andare in un’altra città senza una ragione valida, non che ci fossero mai stati buoni motivi per muoversi, diceva lo scrittore, grattandosi la barba, se non il puro desiderio di andare e fuggire e infine sparire per sempre.

Avevano cancellato il volo per Roma, qualcosa o qualcuno mi tratteneva qui, in uno spazio sospeso e malleabile in cui mi ritrovavo a galleggiare - A volte sprofondavo nelle derive masochistiche (mollette sui capezzoli ed elastici intorno a coglioni) delle mie fantasie sessuali, mi potevo poi sciogliere nella luce e perdermi nelle sue visioni, provavo a scrivere qualche pagina ogni giorno e a non cadere nelle trappole della quotidianità, anche se una parte della mia mente ancora rielaborava vecchi schemi, vecchi comportamenti, abitudini sbagliate, pensieri inutili.

Una vita domestica, un’esistenza nomade, un giardino dove osservare le piante crescere, gli alberi, una piccola e confortevole casa, un camino, assi di legno per pavimento, lenzuola pulite e coperte colorate di flanella, il loro odore, l’incenso, i cuscini orientali, i folti tappeti sui quali sedersi nella posizione del loto a meditare, le maschere africane sulle pareti, perché ogni nostra espressione non sia altro che l’ombra di uno spettacolo mai allestito.


E credo fosse il compleanno di Taran ed eravamo andati tutti quanti a Newport Sand e avevo comprato della birra e avevamo fatto un fuoco sulla spiaggia e durante il giorno ogni particolare, ogni dettaglio brillava di luce propria e avevo  passato la notte accanto a Samara, il contatto del suo corpo e del suo culo contro il mio cazzo e le stelle nel cielo e Claudia che dormiva vicino a una duna avvolta nelle sue coperte di viaggi dimenticati e c’erano bambini che giocavano sulla sabbia, al tramonto, correndo e saltando e Steve suonava la chitarra e cantava e ricordo così chiaramente la sua voce, adesso che non potrò sentirla mai più e poi una breve avventura in canoa, con Samara, la mattina dopo, a risalire le maree dell’immaginazione e le sue risate e il suo volto e poi una passeggiata solitaria fino a un pub a Newport ed era estate, ed era estate e ho bevuto un paio di pinte nella fresca penombra di una sala interna e poi sono tornato alla spiaggia dove erano tutti gli altri, camminando a piedi nudi e c’erano scintille che le onde creavano in un’ode di luminosa bellezza e adesso sono seduto a scrivere a un tavolino della terraza Castillo, dove è la mia voce? Il mio corpo? Dove sono finite le mie mani? Le mie emozioni? Non qui, non fra questi vicoli e queste case sul punto di crollare, non fra i passi muti e gli sguardi bassi, c’è un altro me stesso in ogni sequenza del passato che ancora ripete le medesime parti, senza accorgersi delle quinte, del sipario tirato, delle poltroncine di damasco rosso vuote nella platea, dei palchetti silenziosi, c’è un altro me stesso in ogni età passata, in ogni nuovo inizio a cui non darò più nessuna importanza - Non avevo intenzione di mandare avanti questa farsa in una serie di repliche insulse, avrei dovuto veramente reinventare la mia presenza in questa commedia umana, nei suoi interminabili e misteriosi atti, negli echi di ciò che ci è passato accanto, nel risveglio in un mondo trasformato, dove nulla di ciò che avevi creduto reale ha continuato a esistere.

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