Echi di voci inesistenti, un’enorme immagine di
charles manson dipinta sulla facciata di una fabbrica in rovina, una porta
semichiusa lascia intravedere uno spiraglio di vuoto, un paio di scarpe, le
frequenze basse e sature di una musica elettronica, una siringa per terra – ci
spostiamo verso il fiume, lo attraversiamo di giorno, camminando su un ponte di
mattoni rossi, l’attesa della notte, locali pieni di fumo e musica techno,
birre in bottiglie di vetro da mezzo litro, pasticche bianche con impresso il
numero 7, ne butto giù un paio, una giovane ragazza araba dal profilo meraviglioso,
ha i capelli coperti da un velo di stoffa preziosa, tonalità azzurre e violacee
in ricami di reciproca attrazione – le stronzate del passato sembrano
appartenere alla vita di qualcun altro, ci stiamo avvicinando, le case
occupate, i cartoni messi alle finestre per non lasciare entrare l’aria fredda,
gli anfibi neri ai piedi, una bottiglia di pilsner in mano, seduto sulla sponda
dello sprea, il muro alle spalle, pronti a sparare, ogni muro alle spalle, la
fuga era possibile, la fuga era un modo come un altro per andare avanti, una
foto di una ragazza accovacciata davanti a quel muro, da quanto non ti vedevo,
da quanto non ti parlavo, ti avrei aperto le labbra con la punta gonfia e umida
del mio cazzo, seduta sui talloni, davanti a quel muro, mentre sorridevi,
inconsapevole del fatto che ogni cosa era destinata a finire.
venerdì 9 ottobre 2015
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