giovedì 1 ottobre 2015

le alte torri #17




Il cielo era di nuovo grigio e si sentivano dei tuoni in lontananza, il suono era attutito, più acuto era quello di alcuni uccelli che costruivano i loro nidi, presi la valigetta nera e tirai fuori una piccola scatola quadrata di legno, sembrava molto antica, ci dovevano essere state delle incisioni, un tempo, di cui adesso rimaneva solo una pallida traccia, passai la punta delle mie dita sul legno, poi aprii la scatola, dentro c’erano dei rametti di qualche pianta desertica da cui spuntavano delle spine e dei minuscoli puntini verdi, avevano un odore di strade polverose e perdute, presi un rametto e me lo misi nel palmo della mano chiedendomi come assumere questa sostanza – io e Pavel eravamo seduti dentro un locale, con pochissima luce, l’arredamento era di legno, non c’erano molte persone e bevevamo birra scura, sul tavolo davanti a noi, in alcuni momenti, si muovevano delle ombre, Pavel mi chiese, che cosa fa una spina? Punge, risposi io, cercando di posare la mia mano su una di quelle ombre che si muovevano sul tavolo, punge, ripetei a voce più bassa. Guardai il volto di Pavel, aveva il soppracciglio sinistro alzato e gli occhi grigi, poi il suo viso fu quello di un uomo qualunque, ordinario, nel suo vestito comune, devo andare, disse, rimasi solo nel locale, non c’erano più ombre sul tavolo ma una luce fioca, arcaica, che scivolava sulle imprefezioni del legno, rivelando incisioni e scritte in linguaggi morti e dimenticati – avvicinai una delle spine del rametto che avevo preso alla punta del pollice sinistro, feci pressione, una goccia rossa, un’improvvisa illuminazione di dolore, ero in una stanza in penombra e vedevo una figura femminile danzare nel vuoto dell’aria immobile, i suoi capelli si muovevano più lentamente rispetto alle scie luminose delle sue mani, delle sue gambe e dei suoi piedi, mi avvicinai, lei si fermò, non riuscivo a vedere il suo volto, le posai le dita sulle braccia, la sua pelle era come marmo vivo, come roccia e sabbia calda al tramonto, continuai ad accarezzarla, ebbi un’erezione, lei si scostò, dirigendosi verso uno degli angoli della stanza, accese una candela e iniziò di nuovo a danzare, i suoi capelli cominciarono ad allungarsi, scendendo fino a terra, dirigendosi verso di me, risalirono sulle gambe, fino al cazzo, lo avvolsero e iniziarono a stringerlo, ritmicamente, quei capelli erano seta levigata, la presa divenne sempre più stretta, venni in perle argentee che caddero sul pavimento, un suono come di biglie lanciate per terra, con echi di caverne e rituali primitivi, chiusi gli occhi – la valigetta era sempre sul tavolo, aperta, rimisi il rametto dentro la scatola di legno, la spina con cui mi ero punto si era staccata, al suo posto c’era un nuovo minuscolo puntino verde. Mi alzai e andai verso la finestra. Stava piovendo.

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