Nelle
città ero un’ombra, un’immagine oscura dai riflessi confusi, una forma dai
contorni neri che si aggirava nei vicoli, lo sguardo basso e il bisogno, anelli
di costrizione e controllo, l’odore del cuoio e le maschere grottesche fatte di
legno e piume. Fuori dalle città, tra i campi e le colline, guardavo le
montagne e la loro magica presenza, poi ero a una festa notturna, con i fuochi
e la birra, l’erba da fumare, i corpi che ballavano, i baci sulle labbra come
saluti, così dolci, con due donne più grandi di me.
Nei
momenti in cui smettevo di chiedere, di sperare, di pensare al futuro ogni cosa
diventava reale e meravigliosa e i doni arrivavano e con essi un senso di
quiete, era così difficile abbandonarsi, lasciarsi cadere, respirare con il
ritmo stesso della vita eppure era l’unica strada che fosse importante percorrere.
Un lago di acqua fredda, i pendii violacei e gli sguardi velati della luce, i
ricordi che assumevano le figure delle nuvole, scivolando nel cielo, gli echi
dei pensieri sussurrati in una grotta, le rocce lucenti, le speranze come
arcobaleni destinati a svanire, così brillanti e intangibili, l’odore dei
tronchi e della terra bagnata, c’erano sentieri ovunque in questo mondo e
nessun luogo dove andare, perciò, mia cara Alice, che importanza poteva avere
il percorso che avremmo scelto?
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