Luce
bianca e i contorni sfuocati delle montagne, un mare velato dove finisce lo
sguardo, le mie mani che diventano azzurre, ricoperte da frammenti di ardesia
bagnata, le gocce di sudore sulla fronte come diademi di fatica, la maglietta
fradicia, una casa piena di antichi oggetti, i libri scritti in tedesco, un
enorme apparecchio per ingrandire le fotografie, il silenzio della notte e le
lenzuola pulite, i fiori violacei, gli stami conici, una busta di plastica
piena di funghi essiccati, una poltrona sformata su cui sedersi ad osservare il
proprio passato, cosa rimaneva, per l’ennesima volta, di tutte le parole che
avevi detto? Degli sguardi e degli incontri? Cosa rimaneva dei giorni e delle
notti, del buio e del suo splendore? Nulla, assolutamente nulla. Il tuo cuore
continuava a battere, l’aria a entrare ed uscire, ti abbandonavi alle solite
malinconie, volti e corpi diversi, quello che faceva più male era dentro di te,
avevi aperto quella porta ed era stato un errore, la musica era una melodia
soffusa, ti eri tirato fuori da tutto quanto, l’indifferenza era un gioco
crudele, l’amore solo una cicatrice più profonda delle altre.
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