domenica 6 novembre 2016

Lammas




La nebbia stava scendendo dalle colline e le perle della rugiada impreziosivano le foglie, avevo preparato una tisana con delle piante che avevo trovato nell’orto e me ne stavo seduto in una veranda di vetro e legno, leggendo un libro e attendendo una telefonata che sembrava non arrivare. Una notte trascorsa in un luogo sperduto, senza sapere come ci ero arrivato e come me ne ero andato, la musica intorno al fuoco, qualcuno che mi passa un barattolo pieno d’erba e io che rollo una canna, avevo bevuto parecchio, prima, in un enorme teepee, ascoltando un concerto, con un piccolo cuore rosso disegnato sul polso e la luce del tramonto che esplodeva tra i resti delle nuvole e adesso c’era un altro falò davanti a me e altre persone che suonavano e ho fumato di nuovo, poi mi sono alzato e sono andato verso una strana casa, con enormi tronchi che sorreggevano il tetto e le pareti e dentro riecheggiava il ritmo tribale delle percussioni e il mio corpo che oscillava ipnotizzato da quella musica e mi sono seduto e ho preso uno djambè e mi sono messo a suonare e nella mente si creavano movimenti ipnotici mentre i pensieri si dissolvevano in un nuovo tempo alterato, i battiti di altre mani sulla pelle dei tamburi e una voce che si alzava calma, come una vela d’argento, su quei colpi, sequenze che si ripetevano all’infinito, connessioni spiraliformi e vibrazioni nel basso ventre. Un ragazzo olandese, silenzioso e triste, seduto sul divano, i lunghi capelli biondi raccolti in una coda, due anni in giro per l’Europa e qualcosa che si era perduto nel suo sguardo, mentre oltrepassava le immagini delle colline per perdersi chissà dove, il telefono rimaneva muto, avevamo un appuntamento con un coltivatore di marijuana, forse si era scordato di noi, la casa dove stavamo sembrava abbandonata, ci stavamo allontanando dal mondo, la mia memoria colava come un’ombra su una parete, le ragnatele, le pagine ammuffite, le foto lasciate su un tavolo, i piatti sporchi in cucina, un materasso sfondato, l’ultima candela, il suo tenue bagliore, grappoli d’uva non ancora maturi, l’infanzia nella casa dei miei nonni, ci sono ancora le tue mani che mi accarezzano prima che mi addormenti, i rumori di passi sconosciuti, i fiori d’oppio appassiti, ormai piegati verso il ventre pallido della luna.

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