giovedì 9 marzo 2017

Bianco Assoluto (2006)


Ero disteso sul bordo di una piscina. La testa notevolmente leggera, sciolta dagli ormeggi. Ero sdraiato su un asciugamano della Martini, il logo appariva enorme. Mentalmente ero rapito da sequenze di bandiere che sventolavano nel vento caldo dell’estate, il tutto immerso in una luce abbagliante. Se la mia visione si fosse ampliata sarebbero sorti dei palazzi completamente fatti di vetro e metallo. Palazzi che avrebbero riflesso e moltiplicato all’infinito le immagini del sole, irradiandone il bianco assoluto, prima di esplodere in giganteschi funghi atomici.
Cambiai posizione.
La mia schiena ora aderiva perfettamente all’asciugamano. Con una mano mi toccai il petto, poi presi gli occhiali da sole che avevo accanto e me li infilai. Il cielo divenne di un azzurro carico e scuro. Mi alzai e feci due passi fino al bar e ordinai una Corona. Dalle casse dietro al bancone uscivano fuori canzoni dei Foo Fighters, era un loro album acustico, apprezzai la scelta fatta. Mentre la Corona passava attraverso il limone e scendeva fredda e perfetta nella gola tornai mentalmente ai miei palazzi e alla luce e alle bandiere.
Tornai al bianco.
Mi trovai a camminare per delle strade lastricate di pietra, a piedi nudi, dove potevi sederti su panchine di marmo e riflettere e riposarti e dove gli alberi erano ancora qualcosa di vivo e rigoglioso e non squallidi moncherini di legno.
Un aereo passava nel cielo, lasciando un taglio luminoso nell’azzurro. Mi chiesi distrattamente a quale realtà stavo credendo.
Decisi di non rispondermi e continuai a bere la Corona.
Mi tornavano in testa i particolari di alcuni momenti della mia vita, soprattutto quelli che riguardavano i vari snodi che mi avevano portato fino a questo punto. Mi piaceva soffermarmi sulle svolte improvvise, sulle deviazioni inaspettate, sui muri che si erano eretti e che avevo dovuto scavalcare.
Naturalmente quando non avevo avuto la possibilità di distruggerli.
Pensai ai miei rapidi cambiamenti di umore, alle giustificazioni che ogni volta avevo dovuto trovare, alle facce delle persone che sembravano non capirmi.
Mi cullavo nel ricordo di volti che non avrei mai più visto, di corpi che per un certo periodo mi erano stati accanto. Poi ogni cosa era finita o si era semplicemente trasformata.
Avevo scelto la mia strada e questo aveva significato allontanarsi da tutti gli altri.
Poi improvvisamente mi trovai dentro uno di quei palazzi, seduto ad una scrivania, con davanti un computer, a scrivere.
Battevo parole dietro parole e ogni tanto, fumandomi una sigaretta, guardavo fuori dalle immense vetrate.
Il mondo era esattamente come lo avevo immaginato, dall’alto le cose apparivano proporzionate e sensate, come se un ordine prestabilito le avesse sistemate.
Poi tornavo a scrivere e aspettavo che il tempo passasse, ma il sole sembrava essere fermo sempre nello stesso punto, senza mai spostarsi. Era tutto immobile e brillante.
Poi presi un bicchier d’acqua e mi stesi su un divano di cuoio rosso.
La temperatura era perfetta, non sudavo, stavo bene.
Poi mi trovai di nuovo con la mia Corona in mano, la finii e ne andai ad ordinare un’altra.
La barista (belle tette, denti perfetti, sguardo malizioso) me la passò e io pagai, poi tornai vero il mio asciugamano. Mi sedetti a gambe incrociate e tirai due lunghi respiri. Diedi un sorso alla birra e guardai di nuovo quello che avevo intorno. Niente di interessante. Solo la vita. Bisognava sempre metterci qualcosa di emozionante nelle storie, altrimenti i lettori si annoiavano. Volevano sempre qualcosa di più. Tante scopate, tanto bere, tanta azione. Volevano queste storie disperate, questi dolori immensi, questi amori impossibili. C’era chi glieli dava e li faceva felici. Perché nessuno si accontentava di quello che aveva? Che domanda stupida, lo sapevo benissimo il perché.
Presi il mio asciugamano e andai a cercare un  lettino libero. Volevo stendermi un po’. Ne trovai uno e mi sistemai. La Corona poggiata su un tavolinetto basso e bianco, accanto a me.
Chiusi gli occhi e mi persi nei pensieri del sole.
Dove stavo andando? Che domanda stupida, lo sapevo benissimo dove stavo andando.
Da nessuna parte.
Avevo un altro mese di splendore davanti e me la sarei spassata. Avrei tirato quanta più coca possibile, mi sarei scopato ogni donna disponibile, avrei fatto ogni che mi fosse passata per la testa.
Erano i miei giorni di gloria.
E io non dovevo fare altro che godermeli.
Una sorsata di Corona e poi spensi il cervello e aspettai che qualcuno o qualcosa mi distraesse di nuovo da me stesso.


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