Ero disteso sul bordo di una piscina. La testa notevolmente leggera, sciolta dagli ormeggi. Ero sdraiato su un asciugamano della Martini, il logo appariva enorme. Mentalmente ero rapito da sequenze di bandiere che sventolavano nel vento caldo dell’estate, il tutto immerso in una luce abbagliante. Se la mia visione si fosse ampliata sarebbero sorti dei palazzi completamente fatti di vetro e metallo. Palazzi che avrebbero riflesso e moltiplicato all’infinito le immagini del sole, irradiandone il bianco assoluto, prima di esplodere in giganteschi funghi atomici.
Cambiai posizione.
La mia schiena ora aderiva perfettamente all’asciugamano. Con una
mano mi toccai il petto, poi presi gli occhiali da sole che avevo accanto e me
li infilai. Il cielo divenne di un azzurro carico e scuro. Mi alzai e feci due passi
fino al bar e ordinai una Corona. Dalle casse dietro al bancone uscivano fuori
canzoni dei Foo Fighters, era un loro album acustico, apprezzai la scelta
fatta. Mentre la Corona passava attraverso il limone e scendeva fredda e
perfetta nella gola tornai mentalmente ai miei palazzi e alla luce e alle
bandiere.
Tornai al bianco.
Mi trovai a camminare per delle strade lastricate di pietra, a
piedi nudi, dove potevi sederti su panchine di marmo e riflettere e riposarti e
dove gli alberi erano ancora qualcosa di vivo e rigoglioso e non squallidi
moncherini di legno.
Un aereo passava nel cielo, lasciando un taglio luminoso
nell’azzurro. Mi chiesi distrattamente a quale realtà stavo credendo.
Decisi di non rispondermi e continuai a bere la Corona.
Mi tornavano in testa i particolari di alcuni momenti della mia
vita, soprattutto quelli che riguardavano i vari snodi che mi avevano portato
fino a questo punto. Mi piaceva soffermarmi sulle svolte improvvise, sulle
deviazioni inaspettate, sui muri che si erano eretti e che avevo dovuto
scavalcare.
Naturalmente quando non avevo avuto la possibilità di
distruggerli.
Pensai ai miei rapidi cambiamenti di umore, alle giustificazioni
che ogni volta avevo dovuto trovare, alle facce delle persone che sembravano
non capirmi.
Mi cullavo nel ricordo di volti che non avrei mai più visto, di
corpi che per un certo periodo mi erano stati accanto. Poi ogni cosa era finita
o si era semplicemente trasformata.
Avevo scelto la mia strada e questo aveva significato allontanarsi
da tutti gli altri.
Poi improvvisamente mi trovai dentro uno di quei palazzi, seduto
ad una scrivania, con davanti un computer, a scrivere.
Battevo parole dietro parole e ogni tanto, fumandomi una sigaretta,
guardavo fuori dalle immense vetrate.
Il mondo era esattamente come lo avevo immaginato, dall’alto le
cose apparivano proporzionate e sensate, come se un ordine prestabilito le
avesse sistemate.
Poi tornavo a scrivere e aspettavo che il tempo passasse, ma il
sole sembrava essere fermo sempre nello stesso punto, senza mai spostarsi. Era
tutto immobile e brillante.
Poi presi un bicchier d’acqua e mi stesi su un divano di cuoio
rosso.
La temperatura era perfetta, non sudavo, stavo bene.
Poi mi trovai di nuovo con la mia Corona in mano, la finii e ne
andai ad ordinare un’altra.
La barista (belle tette, denti perfetti, sguardo malizioso) me la
passò e io pagai, poi tornai vero il mio asciugamano. Mi sedetti a gambe
incrociate e tirai due lunghi respiri. Diedi un sorso alla birra e guardai di
nuovo quello che avevo intorno. Niente di interessante. Solo la vita. Bisognava
sempre metterci qualcosa di emozionante nelle storie, altrimenti i lettori si
annoiavano. Volevano sempre qualcosa di più. Tante scopate, tanto bere, tanta
azione. Volevano queste storie disperate, questi dolori immensi, questi amori
impossibili. C’era chi glieli dava e li faceva felici. Perché nessuno si
accontentava di quello che aveva? Che domanda stupida, lo sapevo benissimo il
perché.
Presi il mio asciugamano e andai a cercare un lettino libero. Volevo stendermi un po’. Ne
trovai uno e mi sistemai. La Corona poggiata su un tavolinetto basso e bianco,
accanto a me.
Chiusi gli occhi e mi persi nei pensieri del sole.
Dove stavo andando? Che domanda stupida, lo sapevo benissimo dove
stavo andando.
Da nessuna parte.
Avevo un altro mese di splendore davanti e me la sarei spassata.
Avrei tirato quanta più coca possibile, mi sarei scopato ogni donna
disponibile, avrei fatto ogni che mi fosse passata per la testa.
Erano i miei giorni di gloria.
E io non dovevo fare altro che godermeli.
Una sorsata di Corona e poi spensi il cervello e aspettai che
qualcuno o qualcosa mi distraesse di nuovo da me stesso.
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