venerdì 17 marzo 2017

Dimenticando Varsavia (2009)


La neve che ricopriva le strade, i fuochi nei bidoni, i cani che fiutavano l’aria. Intrappolati dentro cappotti troppo grandi i bambini scappavano dall’orrore, i loro occhi avrebbero visto l’abisso, la morte e la follia che si contendevano il declino della razza umana. La notte di Norimberga. Le braccia tese. Piramidi di luce e libri in fiamme. Oceaniche adunate. Lo sciamano che galvanizza le folle. I gesti, il delirio, la voce roca. La massa e il corpo. Il saluto. I tumulti del cuore.

In un bordello poco lontano dalla stazione avevo conosciuto puttane di tutte le età, alcune molto giovani, bellissime, dai capelli color del grano, dagli occhi di pura acqua. Cercavo protezione nei loro corpi, sotto la loro pelle, nelle profondità del loro essere. Mi sentivo a casa tra le loro braccia.

I vortici di neve, il vento che penetrava le ciglia, gli squarci d’amore tra le fitte nebbie, l’odore del ferro battuto, i rumori delle esplosioni in lontananza, la campagna grigia, la sterminata vastità dell’universo, la quiete del marmo funebre, gli angeli immobili, la grazia delle ballerine, i bicchieri d’assenzio, una Venere in pelliccia, le fruste e i tacchi, il pallore di una bambina, il carbone finito, lo scricchiolio del legno, i fiori calpestati dai soldati, un cappotto rosso, le pire funerarie, l'odore della carne bruciata, l’abominio senza nome.

La guardavo salire le scale con il suo prossimo cliente. Si girò per un attimo e mi sorrise.


L’amore andava dimenticato.

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