giovedì 23 marzo 2017

Bryn Rhyg #8


Le prime luci della sera o forse le ultime, appiattite contro l’orizzonte mentre rimodellavano i contorni delle montagne, i piani di fuga che avevo dimenticato nelle strade di città grigie e piovose, le notti spazzate via da alcool e pillole e le tende che mani sconosciute tiravano, dentro le stanze, a nascondere il giorno o gli occhi delle stelle, seduto davanti alle grandi vetrate, le gambe aperte, la sua testa che si muove su e giù, le osservo i capelli, le spalle – mi chiedevo se avesse gli occhi chiusi o aperti mentre mi succhiava il cazzo, ci si stancava presto di tutte le parole e i discorsi, gli abbracci diventavano più stretti solo quando la solitudine era vicina e il freddo bruciava il cuore e qualcuno scambiava ancora l’amore con l’effetto chimico di qualche polvere, ancora appiccicosa sulla punta delle dita, la mattina tutti erano silenziosi, nella stanza, qualcuno scaldava la sua porzione di gioia in un angolo e gli altri attendevano, gli occhi bassi, presi la giacca e una mezza bottiglia di rosso ancora buono, il prossimo passo, quello successivo, aprivi gli occhi, una camera buia e sconosciuta, provavi a non pensarci al modo in cui ci eri arrivato, il sapore del sangue in bocca non era un buon segno, come il tuo polso destro, ancora legato al bordo del letto, ormai insensibile, qualcosa era successo e non si poteva far finta di niente, l’altro commetteva crimini in tuo nome, rubava, comprava e vendeva sostanze, si inchinava davanti ai suoi piedi, l’altro camminava nudo per le stanze e decideva rituali, quando vennero a chiederti chi avesse compiuto quelle azioni non avevi risposte da dare, perché non ricordavi, non potevi ricordare, rimanevi in silenzio, confuso, poi le domande terminavano, poi ce ne erano di nuove, la lampada puntata sul tuo volto, il sudore, l’odore stantio delle sigarette fumate da bocche deformi, parole su parole, hai inventato personaggi e possibilità, vicoli ciechi, improvvise conclusioni, alibi come trappole mentali, azioni che non portavano da nessuna parte, serie infinite di ripetizioni, poi di nuovo le strade, qualcuno ti aveva fatto uscire, i travestimenti, le false identità, le rughe sul volto, le età in cui nascondersi, c’era un uomo con una lunga barba e un cappello di lana logoro, mormorava lentamente, in una conversazione privata con sé stesso, troppo articolata questa farsa per darle ancora peso e importanza, il trucco l’avevo capito in ritardo, la scrittrice si calava il cappuccio della felpa sugli occhi e si addormentava sul divano. C’erano voci che solo nei sogni potevano ancora avere un senso.

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