Dalla
stanza eravamo passati in terrazzo, perché le avevo detto che volevo parlarle, Marina mi ha seguito, silenziosa, si vedeva il mare dal terrazzo, la luce ci
accoglieva in un tempo sospeso, ci siamo seduti, le ho detto che non l’avevo
più chiamata e che lei aveva fatto lo stesso con me, non c’erano colpe, il
fiume scorre e noi non possiamo fermarlo, doveva partire, doveva sempre
partire, allontanarsi, fuggire, non l’avevo più seguita, avevo perso le tracce,
dimenticato il suo alfabeto, quello del corpo, quello degli sguardi.
Non
avevo altro da dirle, perché già le avevo detto tutto, i segreti, l’abisso, il
dolore, le avevo raccontato le esperienze, le stanze rosse, le candele accese – Nella luce di un mondo senza tempo mi sono tirato fuori il cazzo e le ho
chiesto di succhiarmelo, mi sembrava la cosa più saggia da fare, volevo le sue
labbra intorno alla cappella, volevo sentire il mio cazzo gonfiarsi nella sua
bocca – Nel volo immaginario di una notte i suoi capelli scivolavano ancora tra
le mie dita, avevo strappato pagine su pagine, bruciato fotografie, avevo
scritte poesie come anatemi contro l’amore – Succhiami il cazzo, ragazza – Mi sono
perso nei suoi occhi come la prima volta che ci siamo guardati.
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