Vecchi fabbricati, mattoni,
l’asfalto attraversato da rotaie arrugginite, ovunque macerie, resti, crolli
dimenticati, immagini sui muri, distorsioni visive, il silenzio interiore, l’eco
del fruscio delle foglie, eserciti di nuvole marciano nel cielo, le fiaccolate
degli uomini in nero, gli stivali lucidi che battono la terra con un unico
sordo rumore, le piramidi di libri incendiate – cammino tra i vecchi
fabbricati, misteriose percezioni, si aprono alcune porte che non oso varcare,
un enorme fungo blu si innalza nel ventre di un magazzino in rovina, lamiere,
metallo e mattoni, i punk sdraiati sotto strutture di ferro, il vento freddo e
tagliente, il freddo interiore, la ruota del tossico, due ragazzine camminano
sorseggiando qualcosa da una tazza di plastica, i treni mi scorrono accanto,
davanti, perdendosi in prospettive espressioniste, i tagli obliqui delle
inquadrature, il volto di marlene che sorge dall’oscurità, le sue scarpe e le
sue valigie, gli abiti di scena, der blau engel canta con voce roca e una
sigaretta attaccata al labbro inferiore – nel
sogno alexander mi parlava, mi raccontava delle cose, una voce mentale, un
bambino magico capace di trascinarmi in luoghi di incanto – il popolo
portava, come in una processione, effigi di grandi volti, una croce di luce
risplendeva, segno divino, sulla sfera di metallo della fernsehturm,
trasmissioni di regime, le stanze degli interrogatori, le mani che sudano, non
fare movimenti, metti le mani sotto le cosce, la lampada puntata in faccia, le
domande, monotone, ripetitive, ogni volta da capo, ogni volta da capo, la cella
e l’isolamento, rudolf hesse che cammina sotto il peso degli anni e del
silenzio nel cortile di Spandau, nel suo logoro cappotto di polvere e ricordi,
ho passato non so nemmeno quanto tempo in quella cella, ho imparato la vastità
dello spazio interiore, ho imparato come muovermi in quello spazio, sono
fuggito così lontano che nessuno potrà mai più raggiungermi.
martedì 22 settembre 2015
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