giovedì 31 dicembre 2015

senza titolo (luglio 2010)


non lo so più dove finiscono i sogni, i desideri, la realtà, la follia, la mia caduta, sempre più in basso, che a volte ho paura di sapere dove potrei arrivare, il fondo che si avvicina, l’attesa dello schianto, giù dritto da una finestra, pochi secondi prima di un buio confortevole e privo di dolore, l’ho visto il mio corpo penzolare dal ramo di un albero, mentre l’alba arrivava e vergini raggi di luce accarezzavano quello che rimaneva di questa maledetta illusione, di questo stupido pupazzo di fango e mentre lei mi parla, con una birra in mano, non sa neanche quanto è arrivata vicina alla verità e scherziamo su qualcosa, poi mi stringe i capezzoli, non mi ricordo perché, dovrei diminuire l’alcol, ma è tutto così magico quando si beve e si fuma e lei mi stringe i capezzoli e le dico di fare più forte, di non preoccuparsi, ma lei dice che non può e se solo sapesse le volte che me li hanno stritolati e strizzati fino a che non implorassi di smettere e invece volevo solo continuare e andare avanti e capire fino a che punto potessi sopportare quel dolore e riuscivo sempre ad andare oltre a raggiungere un limite che mi portava dritto nella purezza più assoluta, il limite dell’abisso è la vetta della montagna più alta, dove scaturiscono visioni di quiete e luce, dove si è leggeri e vicino a qualcosa di immateriale ed eterno, brevi attimi, brevi secondi di illuminazione, continuiamo questo gioco e io cerco di provocarla e lei neanche si rende conto di quanto è andata vicino alla verità, mentre fa finta di darmi un calcio sulle palle e se solo sapesse quanto ho resistito nudo e disteso, mentre i calci arrivavano e il dolore si disperdeva per il corpo e la mente si annullava e scoprivi un nuovo luogo che iniziavi ad esplorare, perdendoti, ad occhi chiusi, in sensazioni indescrivibili, pregando dentro di te che altri calci arrivassero e continuiamo questo gioco e lei dice che non devo provocarla, che devo stare attento e se solo sapesse quanto la verità è vicina mentre fa finta di spegnermi una sigaretta sulla mano, ma non ne ha il coraggio e se solo sapesse quello che ho trovato dentro di me, quando ho sentito la punta rossa di una cicca che mi si spegneva sul petto e ho gridato e non ero stato mai così puro mentre ridevo e guardavo con aria di sfida la ragazza che mi stava facendo questo e più mi picchiava, mi dava schiaffi, più mi sputava in faccia, in bocca, più il mio sorriso era reale e mi sentivo vivo  e incontaminato e capace di arrivare dove in pochi si erano spinti, poi cerco di sedurla, sfiorandole la schiena, le mani, e lei mi sussurra di smetterla e io me ne sto buono e la sua sola presenza è una gioia così grande, infinita, che la sento crescere nella bocca dello stomaco, ogni volta che si avvicina e la vorrei abbracciare e sfiorare e baciare, ma non posso e non  esiste tortura più grande, mentre cerco di controllarmi, di amarla secondo le sue regole e il giorno dopo la aspetto e la vedo nel pomeriggio, poi scompare e la aspetto ancora e quando è davanti a me è come se io non ci fossi e l’abisso si apre di nuovo e arriva il dolore, quello vero, un dolore che si espande dentro, perché lei non mi fa sentire speciale ed è come se fossi un estraneo e questo dolore è più grande di tutti i colpi di frusta, dei calci, delle botte, delle umiliazioni, delle torture che ho subito e capisco, capisco il mio cuore, che è buio e luce e che non può amare senza il dolore, capisco il mio cuore, quanto sia terribile e meraviglioso, quanto la mia sia una ricerca disperata perché gli altri non riescono a vedere dentro di me come io faccio con loro, perché per me nulla ha più importanza dell’amore e dei sentimenti e allora torno a casa sperando che mi venga a salutare, ma non la vedo e mi metto sulla terrazza e la musica è quella degli interpol e il tramonto mi rapisce lo sguardo mentre sono in caduta libera e le lacrime arrivano calde e familiari ed è tutto qui il mio esistere, è tutto in questi momenti di intensa solitudine, di perdita, di confusione.

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