giovedì 17 marzo 2022

freewheelin' #62

 Enormi eliche immobili nello spazio desertico e psichedelico di un sogno, colori acidi di una mattina in cui porre fine a qualcosa che neanche ricordavi quando avevi iniziato, le ombre in movimento che seguono le curve sulle quali questo pullman sta danzando, i ragazzi afghani si erano nascosti chissà dove e c’erano piantagioni di papaveri da oppio in valli in cui era proibito entrare, nei fianchi gravidi di eroina di millenarie montagne silenziose. Ero in una stanza, durante la notte e poi nel suo doppio onirico e sapevo che dovevo partire e sapevo che dovevo svegliarmi, dentro e fuori, fuori e dentro da quell’altro mondo e c’erano strani ascensori, tram, cabine mobili che mi stavano trasportando da qualche parte e Lolo che mi guardava e sorrideva da una stanza da letto e Ara che era distesa ancora lì, fra le lenzuola, anche se non la potevo vedere. La avevo ascoltata suonare la chitarra, una volta, fuori dalla baracca di Lolo, sdraiato su un materasso lurido e lei cantava con gli occhi chiusi e la sua voce aveva toccato qualcosa dentro di me anche se la sua anima ancora mancava di profondità e sofferenza e tristezza, ci avrebbe pensato la vita, poi, a insegnarle come accompagnare il dolore, lo faceva con tutti noi, in un modo o in un altro. C’era un lago in una valle che l’immaginazione creava e alberi sulle sue sponde e case bianche e diroccate e sapevo bene che me ne sarei andato anche da questa ennesima illusione, volevo dimenticare volti e persone e volevo dimenticare me stesso e quello che ero stato in questi luoghi di pura astrazione cosmica, che svanissero gli incontri e gli addii e le speranze del domani. Quello che mi aspettava era un’altra bancarotta emotiva e questa volta non sarei caduto nella trappola dei tentativi falliti e avrei lasciato i frammenti della mie più intime ferite dovunque fossero caduti. Le spie e le aguzzine con i tacchi alti del subconscio mi avrebbero cercato ancora, così come le tentatrici dai piedi nudi che si divertivano con le mie debolezze, maledette curve, è quasi impossibile scrivere in questo modo, sul sedile traballante di questo pullman, in questo viaggio verso Bilbao, i passeggeri intorno sono silenziosi, mete metropolitane, destini obliati, Granada appare com un miraggio di edifici nel calore bianco e vibrante del vuoto buddhista andaluso, nuove fermate, nuove stazioni mi avrebbero atteso, orde di graffiti in fuga figurativa, una pausa in questo costante rollio grafico, un rettilineo, la mano torna ferma in questa fuga di finzioni fugaci, enormi eliche immobili, sedili vuoti e fuori dal finestrino scorre un mondo millenario di forme e colori, caldo e asciutto, irraggiungibile e misterioso al di là del mio riflesso smarrito. 

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