Faceva caldo nell’appartamento di Sara e così vagavo nudo per le stanze, un paio di volte con la testa imbottita di acido ed era incredibile vedere le venature del legno muoversi e ondeggiare e le linee dei disegni sul quaderno di Sara animarsi e intrecciarsi fra di loro e quando le sfioravo mi sembrava di toccare la sua pelle e poi avevo gli occhi pieni di lacrime e un senso di pena per me e per lei e per qualcosa che sapevo bene stava per finire, tanto valeva non opporsi, lasciare andare tutto quello che un’altra volta non avevo voluto possedere e fare mio.
I disegni geometrici del tappeto sembravano staccarsi e pulsare leggermente e nella penombra il soffitto si riempiva di composizioni astratte come fossero gentili spirali di fumo e i colori di un quadro prendevano vita e germogliavano in fluorescenze mobili e vibranti e dentro di me c’era ancora questa malinconia, questa tristezza così profonda, intima, familiare.
Altri giorni me ne rimanevo a bere, a scrivere, evitando i contatti umani e la gabbia delle loro incomprensioni e c’erano sempre le montagne intorno, le vedevo all’alba e al tramonto dalla terrazza, quando la luce era di una sublime tenerezza e mi chiedevo dove andasse poi a finire la grazia e la quiete di quegli istanti.
Le lancette dell’orologio del campanile giravano, a volte più veloci, altre rallentando fino alla stasi perenne dell’eternità, ascoltavo i rintocchi metallici della campana e quelli argentei del tempo e non sapevo più chi fossi fra queste mura e soppesavo così i pensieri che arrivavano nella mente come onde, nuvole d’aria, ipotizzando la difficoltà di tentare a rientrare dalla porta posteriore di una società che mi dava ribrezzo e nausea.
Avrei dovuto lasciare quella porta chiusa in maniera definitiva e andare avanti nella direzione opposta, seguendo le vie che non portavano da nessuna parte, i sentieri misteriosi, continuando così a vagare senza meta, senza aspettative.
Mi sarei nascosto in un nuovo luogo di pura fantasia? C’era un’ansia di vivere che non sentivo più nei miei respiri e una tranquillità così vicina che apparteneva a quegli spazi che possono esprimere la bellezza dell’esistenza solo attraverso il silenzio. In una maniera dolce e impercettibile stavamo tutti morendo ed era da quando eravamo nati che lo stavamo facendo.
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