martedì 1 marzo 2022

La bruttina stagionata (2004)

Non c'è proprio nulla da dire. L'università è il miglior luogo del mondo. Per quanto riguarda l’ispirazione, intendo. Anche se vai là che dici oggi non me ne frega un cazzo, oggi me ne sto tranquillo e non mi lascio scazzare, è tutto inutile. Comunque sia una cosa che non va o che ti fa girare le palle la trovi sempre. Semplice semplice. Sembra fatto apposta così. E forse lo è.

Arrivo verso le nove e mezzo a via De Lollis e dopo un po’ che giro per trovare posto, finalmente parcheggio al Verano e scendo. Chiudo la macchina e vado verso il mio dipartimento. Spettacolo. Sapete io studio cinema e ho preso la laurea triennale. Adesso mi aspetta il biennio di specializzazione. Hanno messo sto cazzo di nome per poi farti studiare le stesse cose dei tre anni precedenti. Il bello è che tu studi e studi e non fai un cazzo di pratico. Cioè non puoi, per dire, andare a Cinecittà a vedere come si fa un film. Cioè, io che studio cinema non posso entrare a Cinecittà. Come uno che studia medicina e non lo fanno entrare all'ospedale. Semplice semplice. Non so neanche come è fatta una macchina da presa, perché, in verità, non ne ho mai vista una. Figuriamoci un set. O una sala di montaggio.

Insomma, mi devo segnare ad un esame, quello di legislazione dello spettacolo. Vado al gabbiotto del dipartimento e chiedo al tipo che ci sta dentro (e che sta leggendo un  libro) se può mettere il mio nome nella lista. Il ragazzo interrompe le sue letture mattutine, cerca la lista ma evidentemente ancora non l'hanno fatta. E già. Oggi è il 15 e il 20 c'è l'esame. Ma quando cazzo mi devo segnare? Il tipo del gabbiotto non sembra preoccupato per nulla, fa una telefonata e mi dice di aspettare un pò e a me già iniziano a fumare i coglioni, anche perché devo andare a seguire un seminario sul cinema italiano che inizierà tra poco in facoltà. Mi faccio un giretto per il dipartimento guardando metodicamente le bacheche in cui metodicamente non si capisce una ceppa. A momenti ci stanno affissi i fogli con i testi degli esami di cinque anni prima. Mi soffermo su quelle che dovrebbero interessarmi, ma sono uguali da mesi. Magari ad aggiornarle un attimo... ma che ti credi bello mio che stanno tutti ai tuoi comodi? I professori hanno ben altro a cui pensare.

Ritorno verso il gabbiotto e il ragazzo mi sorride e mi dice che ancora non se ne sa nulla del foglio. Cazzo ridi, gli vorrei dire e invece sempre gentilmente gli chiedo se si può segnare il mio nome e lui mi dice che è inutile, perché serve il foglio del docente. Allora gli dico che ritornerò domani, un pò più cattivo ma lui non sembra impressionato per nulla dal mio fare e così si rituffa nel libro che stava leggendo.

Esco dal dipartimento e mi dirigo verso la facoltà di lettere dove nell'aula cinque dovrò seguire questo seminario sul cinema italiano, che porterà un credito nelle tasche del fortunato sottoscritto. Nel foglio che presenta il seminario e che una ragazza sta distribuendo fuori dell’aula c'è scritto che incontreremo registi e sceneggiatori del nuovo cinema italiano. Fantastico, penso. E poi bisogna fare in fretta, perché il seminario è aperto solo alle prime cento persone che si segneranno. Per gli altri? Cazzi loro. Mica l' università si può accollare tutti quelli che vogliono studiarci. 

Entro nell'aula cinque e mi metto seduto, sono le dieci e mezza e il seminario doveva iniziare alle dieci. Si e non ci staranno una ventina di persone. Io come al solito mi sistemo all'ultimo banco. Poi mi alzo e prendo delle fotocopie, pure fatte male, dalla cattedra, che illustrano il film che dovremo vedere oggi e me ne ritorno al mio posto. Calderòn, che intanto era apparso dal nulla, fa una piccola presentazione. Il film è La bruttina stagionata, anno di grazia 1996. Oggi è il 15 aprile dell’anno del Signore 2004 e questo è il nuovo cinema italiano. Domineiddio!

Dopo un'altra decina di minuti (causa problemi tecnici) mettono su sto cazzo di film. Mi accorgo che su un lato dello schermo sul quale lo proiettano c’è una macchia di colore giallognolo di cui non voglio sapere la provenienza. Ancora prima che la storia inizi già qualcosa mi pone in uno stato di nervosismo, ovvero la seguente frase che precede i titoli di apertura: "Questo film è stato sovvenzionato dallo Stato in quanto ritenuto di interesse culturale nazionale”.

Durante il film comincio a sentirmi sempre più inquieto, rumino e rumino sui soldi sprecati dello Stato, mi prudono le mani, mi sento insofferente, vorrei alzarmi, dire qualcosa, me ne sto seduto, resisto. Mi agito di nuovo, cerco con gli occhi una via di fuga. C’è Calderòn seduto in prima fila, vedo la sua sagoma da melanzana da dietro, sembra mezzo appisolato, meglio guardare il film cazzo. Poi ‘sta tortura finisce e ci dovrebbe essere l’atteso incontro con la regista, comincio  a sentire un formicolio nel basso ventre, indice di fastidio e indignazione, che vorrebbe trasformarsi in parole, che la mia timidezza, come sempre, blocca in gola. Aumenta così la tachicardia perché voglio parlare e mi mette paura farlo in pubblico e allo stesso tempo sento la salivazione sublinguale che si azzera. La velocità dei pensieri si impenna insieme all’ansia di esprimermi davanti ad altra gente. Ripenso pure all’esame di legislazione a cui non mi sono potuto segnare e che tra quello e sta pagliacciata di film anche oggi all’università non ho concluso niente. Alla fine, mi faccio coraggio e alzo la mano per fare la mia domanda. 

Chiedo alla regista quali siano, secondo lei, i motivi per cui il suo film è stato sovvenzionato dalla Stato e ritenuto di interesse culturale nazionale.

Nell’aula si crea una gelida tensione. Se avessi potuto le sarei saltato alla gola a lei, la regista e a Calderòn, soprattutto, che lo vedo al suo fianco, sornione e soddisfatto (immagino per la lauta pennica durante la proiezione). La regista sta per rispondere, io sono tutto nervi scoperti e sudore sulle mani, quando Calderòn la interrompe e sorridendo dice - “Bene ragassi, grassie per essere venuti, ci vediamo la settimana prossima, con il nuovo cinema italiano, il tempo è finito e dobbiamo lasciare l’aula per la prossima lessione”. Rimango seduto, cercando di controllare il respiro ma i tempi dell’hatha yoga erano ancora lontani. Quasi tutti escono, poi me ne vado pure io, straccio il foglio del seminario e lo butto in un cestino. Il trip continua.


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