lunedì 21 marzo 2022

freewheelin' #63

C’era un uomo che parlava in arabo seduto a un paio di poltrone dalla mia, sul pullman che mi stava portando verso Bilbao e non so perché la sua voce mi sembrava quella di un giapponese. Sterminate distese di ulivi lungo le colline che si muovevano fuori dal finestrino e parentesi gialle di terra brulla fra di esse e quasi quasi avrei dovuto prendere un acido prima di salire sul pullman e invece non l’avevo fatto. E a pensarci bene non mi ero nemmeno portato dietro nessuna pasticca di Valium o Alprazolam, magari da assumere con una birra per rendere più ovattato e amniotico questo viaggio di nove ore. Guardavo la camicia floreale che indossavo ed era ancora vivida nell’occhio della mente l’immagine del modo in cui le palme stampate sulla stoffa si muovessero danzando leggermente, quasi staccandosi dal tessuto (buon vecchio Hoffman che sostanza rara e potente hai scoperto). Ero contento di aver lasciato Orgiva e tutta la sua follia, il suo teatro perenne di assurdi personaggi. Avevo voglia di una cerveza e me la sarei presa alla prima stazione di rifornimento in cui ci fossimo fermati.

Provincia di Jaen, diretti verso Madrid. Un paesaggio montano, punteggiato da un’infinità di alberi di ulivo, una grammatica visiva di desolata e assoluta solitudine veniva dettata agli occhi di viaggiatori assenti, tranne i miei, curiosi e penetranti. Alcune delle persone che avevo intorno si erano addormentate, altre sembravano perdute negli spazi invisibili della loro memoria, zone ombreggiate da tristezze passeggere e anni fuggiti lontano. Qualcuno russava, qualcuno discuteva a bassa voce con il proprio riflesso, un cartello azzurro che era passato sul bordo della strada aveva suggerito un’uscita per Linares e ho pensato al Cile e se un giorno sarei mai tornato in quei luoghi insieme a Maria. Avrei viaggiato un’altra volta insieme a lei? Nessuno sapeva quello che sarebbe successo dopo il dissolversi di un pensiero e nessuno l’avrebbe mai saputo. Linee bianche sull’asfalto rovente, un altro veloce lessico di simboli e codici stradali in movimento passava sotto lo sguardo, sembrava non esserci fine allo scherzo dei giorni che si susseguivano e al gioco delle ombre sui muri, quando la sera arrivava e ci abbracciava con la sua malinconia. Vai avanti, perditi, raccogli conchiglie su una spiaggia di desolata e intima e tenera incertezza. L’uomo arabo continuava a parlare e chissà cosa cazzo ne pensavano i giapponesi di quello che stava dicendo. I ciliegi erano in fiore in un haiku ancora non scritto, la nebbia che velava la cima di una montagna nascosta. Le cronache radiofoniche di incidenti di isterico istrionismo. Le bombe atomiche nel cervello, gli aghi dei tossici a bucare le vene dell’universo. Strade perdute. La tristezza negli occhi di Tim nel vedere come tutto muoia e nulla in questa esistenza sia destinato a durare. Io e te compresi, amore mio. 


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