venerdì 5 febbraio 2016

Berlin #10


Luoghi sospesi e attese luminose, stanze bianche e risvegli senza memoria, nuovi spazi, mentali e fisici – la città parlava attraverso forme sempre diverse, in continua mutazione, c’era un senso di perenne movimento, molteplici prospettive che si aprivano ad ogni sguardo, i treni gialli attraversavano le profondità visive, tagliavano le immagini metropolitane in sezioni differenti, c’era un sopra, un sotto, quello che esisteva oltre le linee di ferro dei ponti, dei binari, dei pilastri, delle stazioni, le persone salivano sui vagoni, i sedili imbottiti, un ventre caldo e meccanico, fuori la città passava veloce, senza fermarsi, dovevi saper cogliere frammenti, parti, immagini, le sequenze erano brevi, ricche di particolari, piene di dettagli che avevano bisogno di una seconda visione – la notte, chiusi dentro abiti pesanti, camminando lungo le strade fredde, l’entrata di un cinema, poca gente fuori che aspetta, fumando sigarette e bevendo birra, i programmi della seconda serata, proiezioni misteriose, batto le scarpe per terra per staccare la neve dalle suole – il rumore dei tacchi degli stivali che risuonano contro le assi di legno del pavimento, il fuoco era stato acceso, dalle finestre della stanza si vedevano alberi e la strada e i palazzi di fronte, nevicava, silenziosamente la città si trasformava, la morfina, le candele accese che si riflettevano sui vetri della finestra, l’ago attendeva, le vene fremevano – nei locali, gli uomini travestiti, odore di urina, sperma e sudore, risate di vetro, i muscoli delle braccia tesi, le pacche sul culo, qualcuno ti chiamava facendo finta di conoscerti – salendo le scale, un piano dopo l’altro, suoni ad una porta, lei ti apre, sorridente e calma, entri, ti accomodi su un divano, torniamo indietro di anni, interi decenni, la puntina graffiava il giradischi, il ghiaccio nei bicchieri di liquore mandava un suono di cristalli dimenticati nel vento, le lunghe sigarette bruciavano lente, il rumore dei tacchi, ancora, segui il suo corpo in un’altra stanza, i vestiti posati su una sedia, le corde intorno ai polsi, intorno alle caviglie, i suoi occhi ti scavano dentro, trovate un contatto, un modo per parlare senza usare parole, la sua saliva che cola sulla punta viola del tuo cazzo bendato.

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