sabato 27 febbraio 2016

homesick #31

Ritagli di cielo e nuvole, sopra i tetti, tra i fili dei tram, tesi da una facciata all’altra dei palazzi, le stradine intorno alla stazione, gli alberghetti da pochi soldi, le stanze ad ore, le donne che passeggiavano, come in una cartolina di inizio secolo, con gli stivali e i guanti, cercando qualche cliente, lo stesso gioco, la stessa pantomima di allora, senza più poesia, vino, assenzio, oppio, senza risate e magie, soldi che passavano da una mano all’altra, le scale fatte di fretta, l’uomo si toglie i vestiti, la donna lo fa più lentamente, quanto durerà il loro incontro? Poco, sempre troppo poco, senza parole, i gemiti e i colpi che affondano nella carne, si accendono anche da fumare, dopo, e la stanza sa di migliaia di sigarette e momenti sprecati, l’intera stanza è piena di questa triste fragranza, qualcosa che si è perduto, così, giorno dopo giorno e i bambini con le loro madri, sempre lungo quelle stradine, che camminano verso scuola, sotto il peso degli zaini, dei libri, un’educazione alla schiavitù, la loro, ai tempi da rispettare, agli orari, alla fretta e al ritardo, già da piccoli li programmavano sti poveri stronzi che manco la gioia di crescere c’avrebbero avuto, ammesso che crescere fosse una gioia e subito se li sarebbero sbranati, c’erano dei ghigni in giro, di gente che non aspettava altro che carne fresca da addentare, ci ripensavo a quanto fossi stato preso per il culo, nel corso degli anni, in ogni singolo aspetto della mia vita sociale: la scuola, la coppia, la famiglia, il lavoro, tutto quanto era stato un mediocre teatrino di strada, con attori incapaci a rendere reali le loro parti - stanchi, svogliati - ti ci mettevano da quando nascevi dentro a quei ruoli e alcuni se li portavano avanti fino a quando crepavano, credendoci pure a tutta sta farsa e i bambini camminavano, le madri che urlavano, impazzite, isteriche, perché era tardi, perché si dovevano sbrigare, altre donne sarebbero uscite la sera, a caccia, le stupide prede maschili che strisciavano tra le ombre dei muri, poveri derelitti, falliti, vittime di un pezzo di carne che gli pendeva tra le gambe, i coglioni che si gonfiavano, non era una bella prospettiva portarsi sto peso appresso per tanti, lunghi anni, ci avevano provato con le mogli, le fidanzate, le mignotte e le amanti, come se servisse a qualcosa - c’era un uomo che viveva in una tenda, vicino ad un tunnel, dalle parti della stazione, lo vedevo al mattino e poi di nuovo quando il cielo si faceva scuro, seduto a bere vino, mi piaceva il suo volto, non ci siamo mai parlati però lo salutavo sempre con lo sguardo ogni volta che gli passavo davanti - una cornice dorata buttata in un cassonetto, l’eco lontana di bambine dagli occhi a mandorla, che ridono leggere nei loro vestitini di carta.


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