venerdì 19 febbraio 2016

homesick #28

Mi facevo delle passeggiate, da solo, il sabato o la domenica pomeriggio, sul tardi, quando già stava diventando buio e i lampioni venivano accesi, c’erano riflessi arancioni ovunque e una piacevole sensazione di dissolutezza, di cose sul punto di svanire, erano ancora lì, ma ci sarebbero rimaste per poco, sarebbe arrivata la notte con tutto il suo mistero a nascondere i volti delle persone, sarebbe arrivata l’oscurità a stravolgere le forme delle cose, ad inghiottire strade, palazzi e negozi, un buio egualitario, rispettoso dei segreti e delle perversioni di ognuno di noi - c’erano sempre piccoli alberghi, ai lati delle strade dove passeggiavo e una moltitudine di stranieri che mi passavano accanto, ad un angolo ho scambiato uno sguardo casuale con una donna che portava degli stivali neri, lo sguardo è continuato e si è trasformato in un messaggio che non riuscivo a capire, ho quindi continuato il mio giro ma lei mi ha seguito, mi sono voltato e l’ho aspettata, ci siamo parlati, lei mi ha chiesto perché la stavo guardando, le ho risposto che non c’era un motivo, allora i suoi occhi si sono fatti più grandi, un altro messaggio, un altro alfabeto per farmi capire qualcosa a cui sembravo non arrivare, sto lavorando, amore, ha detto lei, sono rimasto in silenzio, io sto passeggiando, le ho risposto, allora ci siamo sorrisi, lei ha detto altre sciocchezze, aveva un accento russo, poi ci siamo salutati e io sono andato verso il tunnel, per tornare a casa.


Mi piacevano le mattine di pioggia, andare con l’ombrello verso il lavoro, vedere gli altri scivolarmi accanto senza far rumore, la città era violenta, alcune volte, con i suoi suoni innaturali, fastidiosi, cinici, suoni che ti venivano a distrarre o disturbare, il peggiore di tutti era la voce umana quando parlava all’interno di un telefono cellulare, una voce senza vita, che ripeteva sempre le stesse cose, i problemi erano uno degli argomenti preferiti, tutto veniva buttato in piazza, tutti dovevano ascoltare, avevo imparato a non sentire, a rimanere concentrato, ci voleva un po’ di esercizio, poi la cosa veniva da sola.


La società borghese si era inventata il tradimento per dare un pizzico di trasgressione alla propria esistenza bigotta. Te ne andavi con un’altra e poi tornavi dalla mogliettina che ti aveva preparato la cena e magari lei faceva lo stesso con te, era la base della schizofrenia, per alcuni, molti, diventava uno stile di vita, con tutta una serie di trucchi, abitudini, sistemi per raccontarsi bugie e continuare a sorridere la domenica in chiesa.


Le voci delle donne che lavoravano con me erano ancora troppo alte, fastidiose, non le sentivo neanche più, per quanto mi avevano rotto i coglioni. Erano cariche, combattive, immerse nelle loro riunioni, nelle agende, negli appuntamenti, ma se le guardavo negli occhi, mica ce l’avevano più quella forza e quell’energia, ‘ste vigliacche, occhi vuoti, la luce se ne era andata, me la ghignavo dentro di me, una maschera di egoismo e disinteresse e loro che mi passavano accanto, senza nulla da dire, senza risate, senza gioia, come piante senza acqua, appassite, me ne stavo bene per i fatti miei, i giorni di pioggia, quando il mondo si scioglieva e si rifletteva nelle pozzanghere delle strade, i bambini che ci saltavano dentro e scappavano via ridendo, suoni d’argento e scintille di felicità, mi fermavo a guardarli, scattando foto da appendere chissà dove.


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