domenica 14 febbraio 2016

le alte torri #31



Le strade non arrivavano da nessuna parte. Le fiaccole appese all’interno di una caverna, gli altari di marmo e le vergini vestite di bianco. Non riuscivo a trovare le porte giuste, sbagliavo in continuazione. C’erano sempre stanze buie e sconosciute ad aspettarmi, tappeti folti, dai colori cupi, con donne sdraiate sopra, gli stivali di pelle e un bicchiere di vino bianco al loro fianco, pendevano da soffitti invisibili lampadari con centinaia di candele, un tavolo rosso su cui mi venne ordinato di sdraiarmi, fuori, lungo le strade, ancora a piedi, le gambe stanche, ripercorrendo le mappe mentali e gli appunti, scoprendo che le vie cambiavano, non portavano da nessuna parte, i volti delle persone che incrociavo e mi guardavano, la febbre era passata, rimaneva, in alcuni momenti, la confusione e l’idea o forse il ricordo di qualcosa, appartenente ad un'altra vita, che era andato sprecato o usato nel modo sbagliato. Chi non era mai stato in grado di indirizzarti nella maniera giusta, guardando dentro di te, capendo con anticipo quali fossero le tue reali inclinazioni e possibilità, qualcuno che vedesse le cose con il tuo stesso sguardo, erano stati troppi, nel corso degli anni, i consigli e le parole errate, i giorni e le settimane rinchiuso dentro gabbie mentali, i compiti e gli obblighi, la falsa certezza che le cose andassero bene, per il verso giusto, la febbre portava non solo brividi e sudore e coperte bagnate nella notte, possedeva dentro se stessa qualcosa di primordiale e arcaico, una forma di insegnamento, un modo di dirti di fare attenzione, di dare maggiore ascolto al tuo corpo, la febbre ti portava con lei, dentro te stesso e ti parlava attraverso delle immagini - in una delle stanze della psiche incontrai Lynn, comunicavamo senza l’uso del linguaggio verbale, la sua figura sembrava splendere di luce interiore, ci saremmo incontrati di nuovo, anni dopo, in altri luoghi, davanti ad un tavolo di legno, in una casa di campagna, durante un bianco e silenzioso inverno, a bere tè disegnando fiori sotto l’effetto degli acidi - nella piazza gli uccelli si alzarono tutti insieme in volo, lasciando scie d’argento nell’aria, un uomo chiedeva qualcosa, seduto per strada, gli abiti sporchi, non riuscivo a capire la sua lingua, le barche scorrevano lungo il fiume che portava alla cittadina del porto, era freddo e mi stringevo ancora di più nel mio giaccone imbottito, una donna fumava poco distante, i guanti di pelle nera e gli stivali con il tacco, la brace della sigaretta le illumimava gli occhi - chiuso in una cabina, le sue unghie sulla punta lucida del mio cazzo, i richiami dei gabbiani e la spuma di perla sulle onde, i passi sul ponte, l’eco di una risata sparita nella notte, ombre e fragori di vetri rotti, camminavo indeciso, le strade non portavano da nessuna parte.

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