Si tuffa dal bordo della
zattera, rimane invisibile per dieci secondi buoni, poi riemerge vicino alla
scaletta. Quando si siede di nuovo al mio fianco, dice: - C’è una cosa di cui è
meglio se parliamo subito. Un’altra cosa che avrei dovuto dirti. Sono stata
incinta. Non volevo, ma adesso ho deciso di dirtelo.
- - Incinta di chi? Quando?
Un debole sorriso. – In Europa,
amore. Di te. Ne ho avuto la certezza quando siamo tornati a casa. Ho abortito.
Quelle riunioni a cui sono andata… in realtà ho passato la giornata in
ospedale.
- - E l’infezione?
- - Non avevo nessuna infezione.
Helen è incinta di due
mesi, e io sono l’unica persona a saperlo. Claire è stata incinta di me, e io
non l’ho saputo. Sento che c’è qualcosa di molto triste sullo sfondo di questa
giornata di confidenze e segreti, ma adesso non ho la forza di approfondire.
Invece, fiaccato più di quanto dalla visita di Helen con tutto ciò che ne è
derivato, sono pronto a pensare che la tristezza dipenda da qualcosa dentro di
me; da come non sono mai riuscito ad essere quello che le persone volevano o si
aspettavano; da come non ho mai soddisfatto nessuno, neppure me stesso; da
come, per quanto mi sia sforzato, non sono mai riuscito a essere né una cosa né
l’altra, e probabilmente non ci riuscirò mai… - Perché hai fatto tutto da sola?
– le chiedo. Perché non me l’hai detto?
- - Sai, era proprio nel momento in cui
cominciavi a lasciarti andare, e ho pensato che le cose dovevano procedere
spontaneamente. Ti stavi arrendendo a qualcosa, e bisognava che fosse chiaro ad
entrambi di cosa esattamente si trattasse. Questo
è chiaro?
- - Ma tu volevi averlo.
- - L’aborto?
- - No, il bambino.
- - Io voglio avere un bambino, certo. Voglio
averlo con te… non riesco a immaginare di averlo da nessun altro. Ma non prima
che sia pronto anche tu.
- - E quando hai fatto tutto questo, Claire?
Com’è possibile che io non me ne sia
accorto?
-
Oh, me la sono cavata, - dice. – David, il
punto è che non volevo neppure che tu
lo volessi finché non fossi stato sicuro di essere soddisfatto di me, dei miei
modi e di questa vita. Non voglio rendere infelice nessuno. Non voglio causare
sofferenza a nessuno. Non voglio essere la prigione di nessuno. Sarebbe il
destino peggiore che riesco a immaginare. Ti prego, lascia che ti dica quello
che ho da dirti – non c’è bisogno che tu dica cosa avresti detto o non avresti
detto se io ti avessi raccontato ciò che stavo facendo. Non volevo che tu ti
sentissi responsabile; non è tua responsabilità, e non può esserlo. Se c’è
stato un errore. Sono io che l’ho fatto. Adesso voglio solo dirti determinate
cose, e voglio che tu le ascolti, poi andremo a casa e preparerò la cena.
- - Ti ascolto.
- - Amore mio, io non ero gelosa di lei, per
niente. Sono abbastanza carina, e giovane, e grazie a Dio non sono “dura” o “navigata”,
se è così che si dice. Davvero, non avevo paura. Se avessi avuto qualche dubbio
non sarei venuta a stare qui con te. Ci sono rimasta un po’ male quando volevi
che mi togliessi dai piedi, ma sono tornata alla casa solo per prendere la
macchina fotografica. Volevo fare qualche foto di loro due insieme. Era un modo
come un altro per passare il tempo finché erano qui. Ma quando ti ho visto da
solo con lei, all’improvviso ho pensato: “Non posso farlo felice, non ne sono
capace”. E all’improvviso mi sono chiesta se un’altra persona ne sarebbe stata
capace. Questo pensiero mi ha così turbata che sono dovuta andare via. Non so
se quello che ho pensato è vero o no. Forse non lo sai neanche tu. Forse invece
sì. Sarebbe straziante lasciarti adesso, ma sono pronta a farlo, se ha un senso.
Meglio adesso che fra tre o quattro anni, quando sarai presente in ogni mio
respiro. Non è quello che voglio, David; non è neppure una cosa che intendo
proporre, neanche lontanamente. Dicendo queste cose si corre un terribile
rischio di essere fraintesi, e ti prego, ti prego di non fraintendermi. Non sto
proponendo niente. Ma se pensi di conoscere la risposta alla mia domanda,
vorrei che tu me lo dicessi presto, perché se con me non puoi essere
soddisfatto, allora lascia che me ne vada a Vineyard. Posso rimettermi in sesto
con Olivia fino a quando comincia la scuola. Dopo potrò farcela da sola. Ma non
voglio concedermi a qualcosa che non abbia la prospettiva di evolvere un giorno
in una famiglia. La mia famiglia non ha mai avuto un minimo di senso, e ne
voglio una che ce l’abbia. Devo averla, non dico domani e nemmeno dopodomani,
ma prima o poi la voglio. Altrimenti, meglio strappare subito le radici, prima
che sia necessaria una sega. Vorrei che ce la cavassimo entrambi senza
sanguinose amputazioni.
A questo punto, anche se
il sole l’ha ormai asciugata, trama dalla testa ai piedi. – E’ tutto quello che
ho la forza di dire. Tu non sei tenuto a dire niente. Preferirei che non
dicessi niente, non adesso. Altrimenti il mio suonerebbe come un ultimatum, e
non lo è. E’ una chiarificazione, ecco tutto. Non ne avevo intenzione, pensavo
che ci avrebbe pensato il tempo. Però
il tempo potrebbe anche uccidermi. Ma. Ti prego, non ho bisogno di suoni
rassicuranti a mo’ di risposta. E’ solo che a un tratto mi è sembrato che tutto
potesse risolversi in una terribile delusione. E’ stato spaventoso. Ti prego,
non parlare… a meno che tu sappia qualcosa che dovrei sapere anche io.
- - No
- Allora andiamo a casa.
- Allora andiamo a casa.
p
philip roth
il professore di desiderio
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