A volte non rimaneva
niente, neanche per me e mi trovavo svuotato. E guardavo di nuovo le stelle,
sperando nel silenzio e nella solitudine. I volti che mi guardavano erano così
tanti e non sempre era una sensazione piacevole, non sempre avevo voglia di
stare davanti a loro e regalargli quello che avevo dentro, c’erano giorni un
cui avrei preferito starmene sdraiato da qualche parte, con un libro in mano
oppure ad ascoltare musica e fumare erba.
Camminavo in un giardino
ed era buono l’odore della mattina e la calma della rugiada sulle foglie,
respiravo e camminavo e guardavo le piante che crescevano, giorno dopo giorno,
era quanto di più vicino a un miracolo conoscessi e invece era il semplice
svolgersi della vita. Stavo crescendo anche io e l’idea della maturità e della
successiva vecchiaia non mi spaventavano. Il mio cuore e la mia anima
possedevano una lentezza che il mondo esterno tentava in ogni modo di
attaccare. Dovevo alzare sempre più spesso le mie difese, contro la stupidità,
l’arroganza, la presenza delle altre persone. Più ero perfettamente chiuso in
me stesso, consapevole, più le cose intorno mi apparivano nitide e nella giusta
prospettiva. Per lo meno avevo imparato quello che era importante e quello che
non lo era. Avevo imparato il valore del tempo e per questo non volevo più
sprecarlo.
La nostra natura
richiedeva che a un certo punto della vita ci riproducessimo, pensavo molto a
questa cosa. Perché ero attratto dalle donne? Quanto era solo istinto sessuale
e quanto era amore? Le due cose non ero mai riuscite a farle coincidere. Sapevo
che per amare una donna mi bastava guardarla negli occhi, senza neanche
toccarla. Poi potevano venire le carezze, gli abbracci, i baci leggeri sulle
labbra. Quella poteva essere una manifestazione fisica dell’amore. Ma il sesso
non nasceva mai da questa spinta. Era qualcosa di meno spirituale. Veniva
direttamente dai miei coglioni.
Quando l’energia
sessuale diventava troppa, Shiva si inchinava davanti alla moglie e la adorava.
E lei gli permetteva di masturbarsi e di venire sui suoi piedi. In questo modo
il dio ritrovava il suo equilibrio e poteva continuare a meditare.
A volte mi sembrava che
sborrare fosse solamente un bisogno fisiologico, l’energia che avevo dentro
doveva uscire fuori, se rimaneva troppo al mio interno era come un veleno. I
sensi diventavano più acuti, il corpo più sensibile, la mente iniziava a vedere
le donne come corpi dotati di orifizi da riempire con il proprio sperma. Mi
domandavo anche perché dovessimo lasciare il nostro sperma dentro di loro.
Potevamo masturbarci e venire su una moltitudine di oggetti o in centinaia di
situazioni diverse. E invece era il modo in cui la natura aveva programmato la
nostra specie affinché non si estinguesse. Ma perché portare avanti questa
follia? Non vedevo molte cose buone intorno a me e sapevo che qualsiasi figlio
avessi avuto un giorno sarebbe andato in pasto alle belve che si aggiravano per
le strade. Non era vigliaccheria, la mia, era consapevolezza. Se avessi trovato
un mondo diverso, una società più umana, dare la vita insieme ad una donna ad
un altro essere sarebbe stata un’esperienza meravigliosa.
Stavo seduto e
aspettavo.
Il dolore alcune volte
tornava, con i ricordi e le immagini che la mente montava una dietro l’altra,
collegate a ondate di malinconia che si espandevano nel cuore, avevo imparato a
volarci sopra, a non affogare, a non sprofondare nell’abisso, ma quei viaggi
erano inutili.
Poi ancora silenzio e
gli occhi di una donna innamorata che si stringeva al mio corpo.
Non avevo più paura di
guardare quegli occhi e riconoscere l’amore e ricambiarlo. Conoscevo l’amore di
una donna. Continuavo a cercarlo e a ringraziare le divinità quando lo trovavo.
La notte che passava, mentre la stringevo più forte, era un luogo dove le ombre
non erano più fantasmi ma disegni scuri su muri di sale, sarebbe arrivata
l’alba e noi ci saremmo svegliati, la sabbia rosea e le parole delicate del
mare e guardandoci negli occhi avremmo capito che bastava prendersi per mano
per ritrovare se stessi.
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