la
vita nell’ashram era anche piacevole, con il silenzio e i posti dove meditare e
la notte e il buio e la pioggia che accompagnava le mie giornate, una dolce
amica nelle mattine, quando il calore delle coperte era così accogliente e
familiare e non c’era nessun bisogno di alzarsi o di rispettare un orario
eppure il mio corpo continuava a mantenere quei vecchi ritmi, ci ero stato
troppo tempo nel meccanismo e ancora non riuscivo a liberarmene completamente e
vivevo in una roulotte con cuscini orientali e incenso e un grande letto e un
senso di abbandono e decadenza che era perfetto per me e un giorno, quando
l’energia sessuale era troppa, mi sono legato i coglioni e sono entrato in
quella che una volta era la doccia e nell’elastico ho inserito la parte
vibrante del mio rasoio, l’ho accesso e ho aspettato che sborrassi, senza toccarmi,
i schizzi bianchi e appiccicosi sul pavimento lurido, il suono dello sperma che
cadeva veniva amplificato dalle sensazioni dell’orgasmo, non che me ne fregasse
più niente, questi rituali mi ricordavano quelli di un tossico, il laccio
intorno al braccio, la siringa nella vena, il flash di piacere, ogni cosa che
perdeva importanza – poi i momenti in cui mi sedevo nella posizione del loto e
meditavo e guardavo dentro di me e c’erano quiete e lenti respiri e una calma
dorata e la vita al di fuori di quel luogo, gli occhi aperti, i fiori, le
colline, la nebbia e il grigio del cielo, le carezze rosa del tramonto, un
ennesimo abbandono, un altro addio, come se non ne avessi dati abbastanza.
mercoledì 21 settembre 2016
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