La pioggia che accompagnava le mie giornate era come una dolce amica, soprattutto nelle mattine, quando il calore delle coperte era così accogliente e familiare e non c’era nessun bisogno di alzarsi o di rispettare un orario. Il mio corpo, però, continuava a mantenere i vecchi ritmi, ci ero stato troppo tempo nel meccanismo e ancora non riuscivo a liberarmene completamente. Vivevo in una roulotte con cuscini orientali e incenso e un grande letto e un senso di abbandono e decadenza che era perfetto per me e un giorno, quando l’energia sessuale era troppa, mi sono legato i coglioni e sono entrato in quella che una volta era la doccia della roulotte e nell’elastico che avevo intorno alle palle ho inserito un piccolo vibratore, l’ho acceso e ho aspettato che sborrassi, senza toccarmi. Gli schizzi bianchi e appiccicosi sul pavimento lurido, il suono dello sperma che cadeva veniva amplificato dalle sensazioni dell’orgasmo, non che me ne fregasse più niente, questi rituali mi ricordavano quelli di un tossico, il laccio intorno al braccio, la siringa nella vena, il flash di piacere, ogni cosa che perdeva importanza. Poi i momenti in cui mi sedevo nella posizione del loto e meditavo e guardavo dentro di me e c’erano quiete e lenti respiri e una calma dorata e la vita al di fuori di quel luogo, gli occhi aperti, i fiori, le colline, la nebbia e il grigio del cielo, le carezze rosa del tramonto, un ennesimo abbandono, un altro addio, come se non ne avessi dati abbastanza.
giovedì 22 settembre 2016
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