Reza abitava in una stanza, all’interno di un edificio abbandonato, dove vivevano altri ragazzi e uomini afghani, una vecchia palazzina a due piani, con i muri che si stavano sgretolando, eppure questa struttura rimaneva in piedi, ancora tenuta insieme dalle esistenze di chi ci si era ritrovato dentro. Davanti alla palazzina c’era un enorme spazio aperto, delimitato da altri muri, resti di disegni che stavano scomparendo, sulla destra c’era un passaggio, una grande crepa che portava ad un mattatoio deserto, i ganci arrugginiti che ancora pendevano dai soffitti dei vari edifici, ormai muti, solo l’eco di lontane uccisioni, nelle fredde notti, vagava solitario in quei luoghi dimenticati.
Reza mi accolse
indossando una kurta grigia e un pakol dello stesso colore, leggermente
più scuro, mi offrì una tazza di chai
in un bicchierino di vetro, ci sedemmo sul tappeto logoro che ricorpriva il
pavimento della stanza, le pareti erano di un rosso screpolato, c’erano un paio
di lampadine che pendevano dal soffitto, racchiuse in rudimentali coperure di
legno e tela, solo una funzionava.
Parlammo in dari, lui e gli altri uomini si facevano
arrivare l’oppio direttamente dall’Afghanistan, non gli chiesi in che modo e da
quale zona, non mi interessava. Reza aveva delle schegge di follia, in alcuni
momenti, nei suoi occhi, sembrava sempre pronto a fare qualsiasi cosa, a
cambiare direzione, a prendere decisioni improvvise. C’erano anche ombre di
tristezza nel suo sguardo, qualcosa che aveva perso senza più riuscire a
trovarla.
L’oppio era
passato, quasi nessuno ne faceva più uso e pochi lo cercavano, sarebbe stato interessante mettere in contatto questi
uomini con quelli del quartiere cinese, si sarebbero potute riaprire delle
fumerie clandestine, il loro fascino non era mai finito, almeno per me, il
luogo ideale sarebbe stato nelle stanze posteriori di alcuni piccoli negozi di
abbigliamento, tutti uguali, che erano stati aperti, dai cinesi, nelle
vicinanze della piazza del mercato.
Chiesi a Reza
che cosa ne pensava, se sarebbe stato possibile ricreare nella città un mercato
dell’oppio, dare nuova luce a quelle stanze in penombra, con i lettini sul
pavimento sui quali stendersi, le lunghe pipe appoggiate vicino, dalle quali
tirare boccate di cieli notturni, profondità oceaniche e misteri.
Mi disse che
non era interessato, che nessuno in quel luogo era interessato a niente, le
giornate passavano in assenza di tempo, l’oppio era per loro, non volevano fare
nessun traffico, creare nessun mercato, non volevano guadagni, non volevano
nulla.
La strada per
l’oblio ci accoglierà tutti, disse, è meglio prepararsi.
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