sabato 3 settembre 2016

le alte torri #57


Reza abitava in una stanza, all’interno di un edificio abbandonato, dove vivevano altri ragazzi e uomini afghani, una vecchia palazzina a due piani, con i muri che si stavano sgretolando, eppure questa struttura rimaneva in piedi, ancora tenuta insieme dalle esistenze di chi ci si era ritrovato dentro. Davanti alla palazzina c’era un enorme spazio aperto, delimitato da altri muri, resti di disegni che stavano scomparendo, sulla destra c’era un passaggio, una grande crepa che portava ad un mattatoio deserto, i ganci arrugginiti che ancora pendevano dai soffitti dei vari edifici, ormai muti, solo l’eco di lontane uccisioni, nelle fredde notti, vagava solitario in quei luoghi dimenticati.
Reza mi accolse indossando una kurta grigia e un pakol dello stesso colore, leggermente più scuro, mi offrì una tazza di chai in un bicchierino di vetro, ci sedemmo sul tappeto logoro che ricorpriva il pavimento della stanza, le pareti erano di un rosso screpolato, c’erano un paio di lampadine che pendevano dal soffitto, racchiuse in rudimentali coperure di legno e tela, solo una funzionava.
Parlammo in dari, lui e gli altri uomini si facevano arrivare l’oppio direttamente dall’Afghanistan, non gli chiesi in che modo e da quale zona, non mi interessava. Reza aveva delle schegge di follia, in alcuni momenti, nei suoi occhi, sembrava sempre pronto a fare qualsiasi cosa, a cambiare direzione, a prendere decisioni improvvise. C’erano anche ombre di tristezza nel suo sguardo, qualcosa che aveva perso senza più riuscire a trovarla.
L’oppio era passato, quasi nessuno ne faceva più uso e pochi lo cercavano, sarebbe  stato interessante mettere in contatto questi uomini con quelli del quartiere cinese, si sarebbero potute riaprire delle fumerie clandestine, il loro fascino non era mai finito, almeno per me, il luogo ideale sarebbe stato nelle stanze posteriori di alcuni piccoli negozi di abbigliamento, tutti uguali, che erano stati aperti, dai cinesi, nelle vicinanze della piazza del mercato.
Chiesi a Reza che cosa ne pensava, se sarebbe stato possibile ricreare nella città un mercato dell’oppio, dare nuova luce a quelle stanze in penombra, con i lettini sul pavimento sui quali stendersi, le lunghe pipe appoggiate vicino, dalle quali tirare boccate di cieli notturni, profondità oceaniche e misteri.
Mi disse che non era interessato, che nessuno in quel luogo era interessato a niente, le giornate passavano in assenza di tempo, l’oppio era per loro, non volevano fare nessun traffico, creare nessun mercato, non volevano guadagni, non volevano nulla.

La strada per l’oblio ci accoglierà tutti, disse, è meglio prepararsi.

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