martedì 6 settembre 2016

London #4




Flussi ininterrotti di persone, gambe e scarpe in movimento, i pannelli neri con le scritte arancioni, le destinazioni, le partenze, di stazione in stazione, sottoterra, lungo binari lucenti, quelli che avevo visto un giorno a Roma, mentre vagavo senza meta o a Berlino dopo che le pasticche avevano iniziato a fare effetto. Nelle ore che accompagnavano l’alba riuscivo a scendere in profondità dentro me stesso e tutto era così calmo e quieto, lo scorrere delle emozioni e dei pensieri non mi spaventava più, lo lasciavo fluire e lo osservavo, poi di nuovo le strade e la vita frenetica e Londra che era solo un’altra gigantesca illusione, le pareti della metro erano piene di enormi immagini che catturavano gli sguardi e i desideri e le persone scivolavano verso mete sconosciute e io avevo la libertà di rimanere fermo a guardarle perché non c’era più nessun posto dove dovessi andare. Seduto contro una ringhiera di ferro, dietro c’era il Tamigi e il sole spuntava dalle nuvole e io respiravo e ogni cosa rallentava intorno e dentro di me, sempre di più, quando ho aperto gli occhi il tempo aveva smesso di esistere e tutto scintillava nella sua eternità. Mi ero costretto a perdermi di nuovo e a compiere una ricerca, era un passaggio necessario, lo sciamano diceva che erano i sogni la vera realtà, che dovevamo vivere in essi e imparare da loro, diceva che bisognava ascoltare il mondo per comprenderlo, mentre prendeva un fiore e ne staccava i petali e raccoglieva una radice e la pestava e la mischiava con i petali e poi li faceva bollire nell’acqua, in una piccola pentola, sopra un antico fuoco e mi ha dato da bere e ho bevuto e ho vomitato e ho bevuto ancora e poi lui si è avvicinato e ha soffiato una polvere nelle mie narici e ho chiuso gli occhi e le visioni sono arrivate, le forme e i colori che si muovevano e pulsavano e poi mi ha accompagnato in quell’altra realtà e abbiamo parlato e camminato e incontrato demoni e volti e maschere e luci e ombre e mi ha spiegato che bisognava perdersi nella foresta, da soli, morire tra gli alberi e sconfiggere la paura, solo allora sarei potuto tornare indietro e le cose sarebbero state uguali e diverse perché avrei raggiunto una consapevolezza che la morte era la vita e la vita era la morte e non c’era nulla che noi potevamo fare per combatterla, vivere significava abbandonarsi, non opporre resistenza, era quello che stavo provando a fare, era difficile ma era tutto ciò che avesse veramente importanza.  

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