I
colori erano intensi, brillanti, decine di tonalità diverse di verde, intorno,
nei prati, sugli alberi, mentre camminavamo su una pista ciclabile, pitturata
di arancione, sentivo il suo corpo vicino al mio, sotto l’ombrello, quando ha
iniziato a piovere e poi a grandinare. Non abbiamo parlato molto e ogni tanto
quando giravo la testa per guardarla, mi accorgevo che i suoi occhi vibravano,
i colori dell’iride avevano centinaia di sfumature e potevo vedere la sua anima
e il riflesso della mia e non credevo che fossi arrivato così in profondità
dentro di lei e questa scoperta, questa consapevolezza è stata stupenda.
Pioveva
forte e noi camminavamo piano, vicini, come se intorno non ci fosse più nulla,
anche se ogni particolare su cui posavo lo sguardo era nitido e reale, la sua
presenza era così concreta, tangibile, mi fermavo, ci guardavamo, poi erano
sorrisi e di nuovo silenzi.
Non
ci incontravamo da oltre tre anni e il tempo un’ennesima volta si era
annullato, eravamo tornati da dove avevamo iniziato la nostra passeggiata,
aveva smesso di piovere e ci siamo fermati davanti ad una panchina di legno,
lei doveva andare a casa e poi a prendere sua figlia, era il momento di
salutarsi, adesso eravamo uno di fronte all’altra, non c’erano più vie di fuga,
solo il suo sguardo, il suo amore, la sua meraviglia.
Cosa
devo dirti? – mi ha chiesto.
Nulla
– le ho risposto – vedo tutto nei tuoi occhi.
L’ho
baciata con delicatezza sulle labbra, ci siamo abbracciati, l’ho baciata
un’altra volta, l’ultima.
Era
un addio, il più dolce e doloroso che ci potessimo dare.
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