giovedì 24 marzo 2016

freewheelin' #29



uomini che parlano in arabo, seduti, calmi, slavi che bevono vino scadente da un boccione di vetro da cinque litri, gli occhi liquidi, qualcuno si sdraia su una panchina, oblio alcolico, due donne sordomute comunicano con il loro linguaggio di gesti, si agitano, volti contratti in machere grottesche -  le erezioni mattutine, il risveglio dai sogni, la sua pelle ancora fra le dita, una sensazione indelebile, le cicatrici di luce nel cielo, le nuvole livide, le persone che camminano, seguendo sempre gli stessi percorsi, direzioni che nessuno sembra avere il coraggio di cambiare, giorno dopo giorno, anno dopo anno, i loro occhi vuoti, spenti, la stanchezza dei gesti e del loro ripetersi, questa città non vuole cambiare, è tutta la vita che la attraverso, ritornando ogni volta al punto di partenza, imparando a perdere: amici, occasioni, possibilità – le zingare nei loro vestiti colorati, i ventri tondi delle donne, strane forme da osservare, aumentano le voci, diverse, straniere, lontane, i rumori del tram risucchiano le parole, le trasformano in suoni ibridi, di aria e metallo, il silenzio in cui mi sono rinchiuso, per l’ennesima volta, le sue dita fra i capelli, bisogna dare più spazio agli imprevisti, a tutto quello che non abbiamo ancora deciso, minime variazioni su cui improvvisare – tony allen dietro la batteria, gli occhiali scuri, lui controlla il tempo con le sue bacchette magiche, lo divide, lo aumenta, lo diminuisce, le pulsazioni cardiache del basso, i battiti di una lenta scopata, gli orgasmi acuti e dirompenti della tromba, il piano che gocciola note e sudore, un bicchiere di birra in mano, ondeggio, tranquillo, mariagrazia e barbara che oscillano, poco distanti, come sospese in una bolla d’acqua, le guardo, vorrei dirgli quanto è stato doloroso e necessario allontanarmi, vorrei affondare il volto nei loro capelli e respirarne l’odore, le vorrei abbracciare dopo mesi in cui non gli ho rivolto uno sguardo, una parola, un saluto – le luci rosse che tentano di fuggire dai muri, le creazioni delle ombre, gli occhi chiusi e gli spazi mentali che la musica disegna, un bicchiere di gin tonic, una sigaretta di tabacco rollata con mani tremanti, i vostri occhi, gli addii, le melodie sussurate da uomini perduti, ti accarezzavo le caviglie mentre bevevamo retsina su una grande panca quadrata di legno, ho dovuto aspettare così tanto per confessarti i miei sentimenti, scrivendoti quello che provavo, perché la voce, la mia voce, finisce sempre per tradirmi, con le lacrime e le emozioni che la fanno tremare, con le parole che si fermano nella gola e lì rimangono incastrate, luoghi e strade in cui mi sono ritrovato, nelle città di sogno, nelle città di veglia, mentre le differenze diminuivano sempre di più, visi e labbra scomparsi, ormai anche dai ricordi, le immagini di quello che si nasconde al di là del mare, viaggi e fughe, le tue cosce aperte, gli occhi socchiusi, una stanza di albergo ad amsterdam, il sapore del tuo corpo, le ultime illusioni che cadono sul pavimento, il cazzo duro prima di sparire nel vuoto.

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