Le
immagini erano dall’alto, due uomini incappucciati, con vestiti neri e
kalashinkov a tracolla, si muovevano in silenzio, sicuri, lungo le strade, i
gesti ripetuti milioni di volte, precisi e letali.
Un’altra
immagine, in campo lungo, la stazione dei treni sullo sfondo, la macchina da
presa posizionata all’inizio del parcheggio degli autobus, uno spazio vuoto e
nero, una lunga schiera di uomini, immobili davanti alle entrate della
stazione, arabi, africani, cinesi, asiatici, gli uni accanto agli altri, uniti,
invincibili.
Aprii
gli occhi, ero nella mia stanza, sul comodino accanto al letto c’era una
boccetta, prescritta dal Dottor Ballard, piena a metà, le gocce arancioni, le
avevo assunte non so quanto tempo prima, nella mia mente arrivavano, durante la
notte, strani messaggi psichici, codici e segnali sconosciuti, se assumevo una
certa dose di gocce nere, sempre sotto i consigli del Dottor Ballard, il
significato di quei codici e di quell’alfabeto incomprensibile diveniva chiaro,
erano istruzioni, come costruire ordigni esplosivi, tecniche di guerriglia
urbana, il volto quasi irriconoscibile di Pavel, le sue spiegazioni che
rimanevano incastrate tra le connessioni neuronali - negli stati alterati, di
dormiveglia o dopo l’assunzione di determinate gocce dovevo ripetere le
istruzioni fino a che divenissero meccaniche, gesti automatici senza il bisogno
del pensiero - un campo di addestramento nel deserto, la luce abbagliante, Ahmed
è vicino a me, parliamo in arabo, sono sdraiato sulla pancia, un fucile ad alta
precisione, guardo nel mirino, il caldo è quasi insopportabile, una testa che
esplode, in altri mondi, in altri sogni, all’interno di una stanza, di una
macchina, nella redazione di un giornale, su un treno, nelle fabbriche, fuori
da una stazione, il dito che sente ancora la pressione del grilletto metallico,
guardo Ahmed, la sua barba sta brillando di un bagliore divino.
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