lunedì 14 marzo 2016

homesick #33

Te le facevano ancora scendere le lacrime, la notte, con le luci spente e un vuoto speciale nel letto, ci ripensavi ai discorsi, alle parole, ai melodrammi, alle false tragedie - il teatro dei rapporti umani era ovunque, ogni strada, ogni piazza, ogni bar e ogni salotto erano luoghi ideali per mettere in scena questa ridicola farsa, ci si urlava in faccia la propria rabbia, le delusioni, il dolore, in certe occasioni ci si arrivava un poco alla volta, fino ad esplodere, la scena madre era sempre in attesa, con un pubblico di guardoni e idioti, davanti, intorno, pronti a sorridere, a storcere il naso, a battere le mani - andava avanti così dall’inizio e molto probabilmente non ci sarebbe mai stata una fine, mi toglievano energia e volontà questi atti unici, non ero un buon attore, non nelle parti del fidanzato, del marito, anzi, ogni parte già codificata mi metteva in imbarazzo, preferivo la pura improvvisazione, ma gli altri, soprattutto le donne, non mi riuscivano a stare dietro, gli mancavano le assi del palco sotto i piedi ogni volta che dicevo una battuta sbagliata, ci avremmo potuto passare notti intere, insonni, così, solo a cercare di spiegarci, perché poi, le parole, creavano solo confusione e più se ne dicevano e più non si arrivava da nessuna parte, ci si inseguiva, come cani, pronti a mordersi senza neanche annusarsi, ero stanco, stanco di tutto questo agitarsi, stanco delle bugie e delle verità, l’amore ci stava prendendo a tutti in giro, se la ghignava lui, bastardo e innocente, se la ghignava tra le ombre, dove non potevamo vederlo, di tutti i casini che combinava, mi piacevano le cose tranquille a me, pure qualche ragazza, qualche donna che ci si divertisse insieme, con i tacchi e le calze, a strusciarsi il cazzo contro le cosce, a sfregarsi la cappella come la punta rossa di un fiammifero, pronta a prendere fuoco - poi perdevi interesse anche in questo, tutto si ripeteva, troppo banalmente, troppo in maniera meccanica, bisognava andare da altre parti a trovarla la vita, le emozioni, bisognava sedersi dentro se stessi, sulle rive di un lago dorato nel tramonto degli anni, sedersi e aspettare, senza fretta, senza ansie, starsene da soli era la cosa migliore, qualche volta le tue risate ancora avevano la luce della giovinezza, poi i sorrisi tramontavano agli angoli della tua bocca e c’era quella tristezza, intima, profonda, che ti accompagnava ovunque, nel cielo ad ovest la luna era nascosta, abbracciavo silenzi come fossero la mia ultima amante.


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