mercoledì 23 marzo 2016

homesick #34

I portoni delle scuole li continuavano a vomitare fuori i ragazzi, nelle strade e nel sole e loro ridevano, per la giovinezza, per l’assenza di prospettiva, ridevano, ‘ste piccole teppe, che mancava poco tempo a Natale e già si divertivano a far scoppiare i botti, quando gli passavi vicino e loro te li tiravano addosso, facendoti saltare e bestemmiare e un paio di questi stronzetti avevano dato fuoco a un pezzo di carta e lo avevano buttato sul cofano di una macchina, vicino al parabrezza e la guaina di plastica che ci stava sotto aveva iniziato a bruciare e allora gli ho urlato, venite qua e loro sono scappati e io mi sono buttato all’inseguimento, ma giusto per scherzare, perché se c’è qualcuno che fa il teppista, un altro deve fare quello che lo insegue, sennò non c’è azione, non c’è drammaticità e allora uno si è nascosto dentro un portone e l’altro l’ho perso di vista, povero stronzo, me l’avevano fatta, però ci avevano creduto che li volessi prendere, era solo una bugia come un’altra, come le ragazzette che gli giravano intorno, in cerca dei primi baci, delle prime strette di culo, ridevano nella luce e nelle ombre, rincorrendosi, mica lo sapevano quello che li aspettava, tutti quanti, le bocche in cui sarebbero finiti, per essere masticati e sputati, sognatele pure le vostre storie d’amore, le vostre donne, le mogli e i figli, i vostri mariti e i vostri sposi, sognatevela la vostra casa, la vostra prigione, come arrivare a fine mese, troppo lontano, come arrivare alla fine della giornata senza essere impazziti, i vostri gruppi, le vostre parole, continuavo a camminare da solo, come sempre, qualcosa diventava sempre più concreta, reale, nitida, l’asfalto e gli stronzi per strada, quelli che ti passavano accanto, quelli che dovevi essere tu ad evitare per non sporcarti le scarpe di merda.


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