Il
cemento lungo le strade stava diventando liquido, a piccole onde si muoveva
verso di me, ero immobile, tappeti di foglie gialle su cui affondare, ai bordi
dei marciapiedi l’acqua che cadeva dal cielo rosso creava mulinelli e bolle che
gorgogliavano con odore di zolfo, Papa stava ridendo, lo vedevo, su una delle
alte torri bianche, lo osservavo a centinaia di metri di distanza, il mio sguardo
poteva arrivare ovunque, le sue parole magiche stavano trasformando il
paesaggio, la realtà sembrava obbedire ai suoi canti, l’asfalto era ondulato,
scivoloso, ci misi un piede sopra e venni trasportato lungo le vie del
quartiere, le foglie morte, sospinte da un vento purpureo, mi giravano intorno,
in vortici onirici, il loro turbinare divenne sempre più forte e mi ritrovai in
aria, innalzato, sospinto, fino ad arrivare su una della alte torri, Papa mi
stava aspettando, le foglie finirono di girare e io posai i piedi sulla pietra
e loro caddero verso il basso, come scintille di tramonti e si persero
nell’acqua e nel cemento e tra i rifiuti e gli echi degli addii degli amanti -
un giorno, un giorno molto lontano, ci siamo parlati all’interno di una tavola
calda, era la prima volta in quattro anni, nessuno dei due poteva sapere che
sarebbe stata anche l’ultima - l’apocalisse sta arrivando, disse Papa
sottovoce, le cose, molte cose stanno per cambiare. Lo guardai, i suoi occhi
vorticavano.
Possano
i tuoi canti salutare ogni nuovo giorno.
Possano
le mie preghiere essere sabbia nel deserto.
Possa
l’amore fiorire ancora.
L’orizzonte
sbocciò in corolle d’incanto.
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