venerdì 18 marzo 2016

freewheelin' #28



due uomini parlano in turco, le immagini degli edifici a tre, quattro piani che scorrono fuori dai finestrini del tram, il corpo sventrato di un palazzo, le sue ossa di ferro, gli alberi spogli, spettrali, le linee geometriche di una piramide bianca, un uomo seduto che si tocca di continuo i capelli, appiattendoseli sulla nuca, per nascondere la propria calvizie, l’illusione della stasi e del movimento – le voci sempre troppo alte, inutili, un vecchio che legge il giornale, assorto, stanco delle chiacchiere, indifferente a tutto quello che si muove e si ferma dietro di lui, il cigolio metallico delle giunture dei vagoni, le ragazze sedute per terra, le gambe incrociate, i viaggi fino al mare, quando ero un ragazzo anche io, le bestemmie e le risate, gli occhi di mariagrazia mentre stiamo bevendo una birra e parliamo, dopo tanto, tanto tempo, un contatto intenso, profondo – un ragazzo che si alza dal suo posto e lascia sedere una signora anziana, lei ha delle buste che si mette tra i piedi, le vene bluastre in evidenza sulle mani ormai invecchiate, gli anelli, gli occhi chiari rinchiusi in una maschera devastata dal tempo, la caviglia nuda di una ragazza, accanto a me, una fugace apparizione della sua pelle bianca, le unghie finte delle dita, laccate di rosso, mentre le muove facendole scivolare sul nulla – le porte automatiche si aprono/si chiudono, nessuno entra, nessuno esce, piccoli sogni vuoti, idee di viaggi che non si realizzeranno mai, le delusioni future, atroci scherzi che distruggeranno i tuoi anni - le lacrime come amiche - tornare indietro, stazione dopo stazione, i pomeriggi a casa di alessio, un pianoforte muto, una sera mentre aspettavamo il treno, giorgia seduta sulle mie ginocchia, il giorno che io e marco l’abbiamo accompagnata a prendere un pullman, il giorno che è uscita per sempre dalla mia vita – le striature di luce nel cielo, travestite da nubi, tatuaggi sulle dita di un uomo appoggiato ad una delle porte automatiche, adesso chiusa, il suo sguardo che accoglie le immagini in movimento, all’esterno, pensando altrove, al suo paese, a tutto ciò che è stato lasciato indietro, le orme cancellate sul bagnasciuga, gli ultimi respiri dei tramonti d’inverno – le file dei cipressi, le gru e i bassi edifici industriali, le dita di una ragazza asiatica, quante volte ho sognato le tue mani, nelle notti adolescenti, quando ci siamo abbracciati ad un concerto, quando ti sei sdraiata accanto a me, in una cuccetta, in alto, in un viaggio in treno verso la sicilia, la tua presenza così calda, reale, le dita intrecciate, le mie mani che ti accarezzavano il viso, i baci leggeri che ti lasciavo sulle labbra – un barbone che sale e ripete, qui c’è un barbone, le buste piene dei resti della sua vita, stella polare, castel fusano, il palazzetto dello sport, come un enorme sombrero messicano lasciato sul cemento, le gare di judo di valerio e noi che lo andavamo a guardare, a tifare per lui, il giorno che ho partecipato ad un concorso, lì dentro, un’enorme gigantesca farsa e poi sono andato a prendere il fumo in un piccola capanna di legno sulla spiaggia e il tipo che me l’ha portato aveva un problema ad un orecchio e mentre l’aspettavo mi sono sdraiato sulla sabbia e ho letto un libro e il giorno dopo sarei dovuto partire per la sardegna – i fiori viola splendenti nel verde delle foglie, il mare in lontananza, la linea dell’orizzonte, la quiete dei respiri, il silenzio per raggiungerla.

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