martedì 29 marzo 2016

homesick #35

In un modo o nell’altro bisognava sempre aspettare, le cose si muovevano con una lentezza snervante e ormai non ci facevo neanche più caso alle chiacchiere e ai volti che incontravo nei corridoi. Tiravo avanti come meglio potevo. I nuovi locali dell’ufficio sembravano più piacevoli, con le pareti arancioni che ti davano la sensazione di un luogo caldo e accogliente ma quando ci ero entrato con le altre donne che lavoravano con me, come al solito, l’impressione era stata diversa, con le loro risate compulsive e i discorsi inutili a rovinare tutto. A volte le parole che producevano mi arrivavano come un rumore indistinto, un suono sgradevole, allora me ne andavo in classe, chiudevo la porta, ascoltavo della musica, loro se ne stavano in un’altra stanza a riempirsi la bocca di cibo e stronzate, mi sembrava come di essere tornato a scuola e la cosa non mi piaceva manco per il cazzo. Volevo la mia serenità e passare il mio tempo al lavoro tranquillamente. ‘Sta storia del gruppo si era rivelata l’ennesima presa per il culo, sono sempre scappato da questo tipo di situazioni, tirano fuori il peggio dalle persone. A loro piaceva perché così potevano parlare e stavano sicure che qualche fesso le avrebbe ascoltate, infatti dopo avergli fatto capire che non c’avevo più interesse a sentire le loro cantilene hanno iniziato a sbrodolarle su quegli altri pochi coglioni che gli giravano intorno e  così iniziava di nuovo la giostra: i sorrisi, le strizzate d’occhio, i cambi di pettinatura. Mica ci si riusciva a sfuggire a ‘sta baracca, comunque io manco le guardavo più e già era tanto se le salutavo, prima o poi se ne sarebbero fatte una ragione, almeno così pensavo. Mi era pure tornata la febbre e la notte era passata in maniera delirante, sentivo il mio corpo pesante, duro, come se la massa muscolare si fosse raddoppiata. Mi giravo e sudavo sotto le lenzuola e tutta una serie di ansie e paranoie arrivavano a ondate e non me ne riuscivo a liberare, la mente era in trappola, sapevo bene di chi erano quelle voci che mi mulinavano nel cervello, erano le loro voci e la febbre le aveva moltiplicate in una litania senza fine. I brividi mi risalivano lungo la schiena e non erano piacevoli come le altre volte, volevo che passassero, volevo dormire e sentire la mente libera, niente da fare, all’alba ho preso una pasticca di tachipirina, mi sono rimesso al letto e ho atteso e come ombre sul finire della notte quelle voci, magicamente, sono scomparse.


Nessun commento:

Posta un commento

freewheelin' #82

  Le notti diventavano più brevi e il sonno si popolava di sogni e fra le loro storie c’eri anche tu, il tuo volto e il tuo corpo ma non i t...