venerdì 4 marzo 2016

le alte torri #35



Entrammo in un teatro mentale, attraverso una porta dipinta di blu, le pareti erano tappezzate di damasco rosso, con disegni neri di alberi stilizzati, ero a piedi nudi, il pavimento era di legno, caldo, lei mi prese per mano, la vedevo da dietro, il corpo magico che mi ondeggiava davanti, il contatto del suo palmo contro il mio, lei scostò una tenda e fummo in una piccola sala, con una decina di poltroncine, si girò, non c’era molta luce, delle candele erano state accese, ci guardammo negli occhi, i suoi erano tagliati nel viso, come fessure oblique, il suo volto era meraviglioso, antico, immobile, i suoi occhi parlavano nella mia mente, il suo vestito di seta, lungo, risaltava le sue forme, le percepivo attraverso la mia pelle, in brividi che risalivano lungo la colonna vertebrale. Mi fece sedere su una poltroncina e si mise davanti ad una lampada, iniziò a muovere in maniera lenta le sue lunghe dita e sulla parete si formarono delle immagini, i suoi movimenti erano fluidi, vedevo uccelli, pesci, animali sconosciuti, alberi misteriosi, poi iniziò a cantare e io chiusi gli occhi, quella voce, appena udibile, dolce, avvolgente, mi trascinò attraverso le sale e le pareti, le tende di damasco, le poltroncine di velluto nero, mi ritrovai sdraiato, su dei cuscini morbidi e profumati, lei era vicino a me, adesso senza il vestito lungo ma con abiti che non avevo mai visto, ammiravo la sua pelle, in apparizioni fugaci, la luce delle lampade, tenue, delicata, creava giochi di ombre, qualcosa si mostrava, qualcosa si nascondeva, fumammo oppio e galleggiamo in quella calda dimensione, lei mi accarezzava e io la guardavo negli occhi, parlavamo così, attraverso le espressioni dei nostri volti, non scambiammo una sola parola eppure eravamo presenti e coscienti l’uno dell’altra, dei nostri desideri, delle nostre emozioni, sentivo le sue dita sul mio corpo, scendere e salire, i coglioni si gonfiarono, il cazzo mi divenne duro, odoravo la sua pelle, il desiderio cresceva, lo sapevamo tutti e due, nel buio profondo dell’estasi venni in spruzzi di inchiostro, lei prese un pennello, lo passò su quella sostanza viscida e nera e scrisse nella sua lingua delle parole su una delle pareti, non ne capivo il significato, poi lei si mosse, come un burattino, con movimenti scattanti, come fosse legata a dei fili invisibili, sentii di nuovo il suo corpo contro il mio, gli applausi di maschere sconosciute, il cazzo duro, le magnifiche figure in ceramica di uomini e donne in atti sessuali, la danza dei corpi, il tuo respiro d’argento.

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