mercoledì 30 marzo 2016

homesick #36

A casa ci si stava anche bene, dopo tutto, con i ragazzi, a bere e suonare, fumare hashish o marijuana, a seconda dell’occasione, veniva anche Maria, qualche volta, a cenare e a dormire con me, poi la notte rimanevamo abbracciati sotto le lenzuola oppure ognuno dal suo lato, era un momento di intimità che non volevo diventasse un’abitudine, mica ci riuscivo ad adattarmi alle regole, a come ti dicevano che si doveva vivere, una parte di me avrebbe sempre e comunque cercato di distruggere tutto quello che voleva avvicinarsi allo stabilito, al già scritto, al deciso. Passavo parecchie notti a suonare la chitarra con i ragazzi ma loro erano più bravi di me e allora ogni tanto mi limitavo ad ascoltarli e la cosa andava bene, era piacevole e mi trascinava in luoghi magici, dentro di me, steso sul letto, a sentirli, in bilico sulle note, si aprivano scenari mentali e arrivavano fulgidi ricordi, strisciando lungo le lame di luce che filtravano da sotto quelle porte chiuse, c’erano anche le immagini dorate dei miei vent’anni, delle scopate di quel tempo, giusto le prime, che mi avevano dato la sensazione di qualcosa di luminoso, che avrei potuto far splendere come fosse amore, poi si è rovinato quel gesto, quell’atto è diventato un bisogno, poi mi sono spinto nei miei luoghi oscuri e non ce l’ho fatta più a tornare indietro e mi sono perso e ho vagato, in un corpo altro, nei suoi desideri, sempre più profondi, indescrivibili e famelici. Di quelle mattine in cui scopavo su un tappeto non era rimasto più nulla, neanche di quella ragazza che mi aveva fatto intravedere una possibilità, tra la polvere che danzava nell’aria e i suoi occhi sempre più grandi, dopo anni passati insieme ci siamo ritrovati in un letto, una notte dopo l’altra, senza desiderio, senza voglia, estranei eppure vicini, alla fine si è presa un altro, ha fatto un figlio e neanche un saluto e allora un bel po’ di romanticismo me lo sono tolto dalle palle, tante belle chiacchiere, tante rotture di coglioni, le paure, i silenzi, non c’avevo mica voglia di ritrovarmele tra le mani queste cose, magari dei capelli da accarezzare si, sdraiati da qualche parte, ma non c’avevo più voglia di stare a perdere tempo dietro alle donne, passavano, venivano, sorridevano, che ognuno seguisse la sua strada, c’avevo perso l’innocenza dentro quelle cosce e adesso anche l’interesse, sarebbe tornata la voglia? Mica lo sapevo e neanche mi preoccupavo. Alcune sere mi mettevo a cucinare, un po’ di pensieri del lavoro che frullavano in testa, degli echi, qualche discorso che sentivo ancora ronzare, poi se ne andavano, lasciandomi in pace. Qualcuno, nei corridoi, non mi salutava più, meglio così, pensavo, meno fiato sprecato, i bagliori di luce sui vetri, immagini doppie e riflessi, bastava poco a farmi felice, seduto ad occhi chiusi dentro al calore bianco dell’ora di pranzo, era ancora inverno, gli alberi spogli, i miei sentimenti chiusi in gemme verdi, pronti a sbocciare.


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