giovedì 17 marzo 2016

Roma #5

Vivevo in una baracca, al lato dei binari della ferrovia, un pezzo di terra nascosta dagli alberi, che la separavano dalla strada. Ci arrivavo scendendo per un piccolo sentiero, c’era un buco nella rete metallica e io ci passavo attraverso. La baracca l’avevo trovata, abbandonata, i resti delle vite di altri miserabili, prima di me. L’avevo sistemata alla meglio, ormai erano quasi tre mesi che ci abitavo. Ogni cosa era arrangiata, costruita senza nessuna competenza, improvvisata, instabile. Assi di legno, cartoni, teli di plastica. Il giorno giravo per le vie lucenti di una città, spingendo il mio carrello, fermandomi davanti ai cassonetti della spazzatura, cercando al loro interno qualcosa che mi potesse servire oppure oggetti senza alcun valore o importanza, cose che attiravano la mia attenzione, cose a cui avrei potuto dare interpretazioni solo mie. Oscure divinità, potenti feticci, composizioni di materiali inanimati secondo misteriose connessioni mentali. Portavo tutto dentro la baracca, sistemavo gli oggetti nei luoghi che ritenevo più opportuni, parlavo con loro, durante le solitarie notti. Era primavera e non faceva molto freddo, avevo alcune coperte con cui coprirmi, una stufa a legna davanti la quale riscaldarmi, avevo costruito un rudimentale letto su cui dormire, con un materasso trovato per strada. Fuori la baracca c’era un giardino, incolto, trascurato, avevo trovato dei semi all’interno di un piccolo sacchetto di pelle, dentro un cassetto, in un comodino mezzo sfondato accanto ad uno dei muri di legno. Avevo scavato delle buche poco profonde nel terreno e vi avevo messo i semi dentro. Ogni tanto li innaffiavo. Altre volte ci pensava la pioggia. Sentire i tuoni, sopra di me, l’elettricità vibrante nell’aria, pioveva in alcune zone della baracca, c’erano dei secchi per raccogliere l’acqua, poi la riscaldavo sulla stufa e la usavo per lavarmi, quando ne avevo bisogno. I rumori dei treni che passavano, così vicini, suoni ipnotici, ripetitivi, modulavano frequenze mentali, portavano i pensieri verso l’astrazione, le intuizioni in aperture visionarie.

Dal ponte potevo vedere la mia baracca nascosta dagli alberi, le rotaie, sotto, che brillavano nella luce, scie bianche, le mie dite attaccate alla rete di protezione, i cartelli quadrati con l’immagine del teschio, i fili elettrici, passavano vagoni pieni di macchine, in sequenze ripetute e uguali, diversi colori, identiche forme. Proseguii lungo la strada, senza carrello, volevo solo camminare, i miei vestiti sporchi, scivolavo, le persone mi scansavano o ero io a scansare loro? Un uomo seduto per terra, mormorava sottovoce, da solo, in mano aveva dei fogli, li guardava, immerso in una folle lettura, passai oltre, la notte precedente aveva piovuto, i riflessi di luce sull’asfalto ancora bagnato facevano diventare le strade ricoperte d’oro, ero felice, senza pensieri, il cuore silenzioso, nessun luogo dove andare, nessun dolore da dimenticare, un passo dopo l’altro, un respiro dopo l’altro, questo tempo era mio, unico ed infinito.

Nessun commento:

Posta un commento

freewheelin' #82

  Le notti diventavano più brevi e il sonno si popolava di sogni e fra le loro storie c’eri anche tu, il tuo volto e il tuo corpo ma non i t...