Le
piante del deserto erano gigantesche e le loro foglie carnose, lingue e
tentacoli di una piovra vegetale che si muovevano sinuose nell’aria
accarezzandomi la pelle e ogni pianta possedeva una sua precisa geometria nel
modo in cui si formava nel vuoto, c’erano disegni concentrici che ruotavano
intorno ad un punto e mandala infiniti nella mente di chi le aveva create e le
mie visioni prendevano quelle stesse strutture, caleidoscopi che si ripetevano,
proporzioni alterate e cambi di prospettiva improvvisi e oltre queste immagini
il suono costante, a basse frequenze, della marea che cominciava a salire, nascondendo
strade di pietra e sentieri, cancellando le tracce che mi avevano portato fino
a questo giardino segreto, i pensieri che si ramificavano in piani di spazio e
tempo sconosciuti, il limite brillante di un’idea, il suo fiorire in una realtà
senza più nessun significato se non quello puro e immediato di percezioni
assolute.
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