mercoledì 3 agosto 2016

Bristol #15



Un uomo dagli occhi azzurri cerca di vendermi della coca, fuori da un locale. Poi entriamo, prendiamo da bere e iniziamo a parlare. Lui vuole convincermi che ho bisogno della sua roba, gli dico di no, che non mi serve, lui insiste, alla fine gli dico che devo andare a pisciare e lui mi dice che mi aspetterà per strada. Torno dal cesso e lui non c’è più, compro un'altra pinta, entro in una piccola stanza, la musica che sbatte contro le pareti nere, l’odore della birra e del sudore, il corpo di una ragazza vicino al mio, le nostre braccia che si sfiorano. Avevo dimenticato il tuo contatto e cosa significasse sentire la tua pelle sotto la punta delle mie dita. Qualcuno mi fa fumare mentre sto tornando a casa e io che non mi ricordo più niente, solo il suo volto che si avvicina, al rallentatore, la sua mano che passa oltre la mia schiena e mi sfila il portafogli dalla tasca posteriore dei jeans, io che provo a correre, senza riuscirci, le gambe che diventano di gomma, la mente che cancella i pensieri. Il giorno dopo non rimaneva più nessuna traccia di quello che era successo, solo un corpo vuoto, lontano e perduto. Camminavo per la città e quando ero stanco mi sdraiavo sull’erba in un parco e mi addormentavo sotto lo sguardo del sole, passavano i minuti e le nuvole nel cielo e poi ero di nuovo sveglio e mi alzavo e continuavo a vagare, tra gli alberi, la luce che filtrava tra le foglie, le parole di una persona cara scritte in un biglietto di auguri, parole che portavo con me, come una benedizione, nei momenti bui, quando mi sentivo solo, lontano da tutti, eppure questa era stata una mia decisione e avevo voluto provare cosa significasse vivere così, lasciarsi trasportare, dimenticare ogni giorno, appena la notte lo travestiva con le sue ombre. Quando ho attraversato un centro commerciale completamente vuoto, poco prima dell’alba, tutto quel silenzio e i negozi senza voce, i pavimenti lucidi, le vetrine in attesa di occhi che le facessero splendere, l’architettura trasformata di un sogno, le porte che mi avrebbero fatto entrare in altri luoghi, i passaggi proibiti, gli incontri che sarebbero svaniti dalla memoria, i flash improvvisi, la mattina, mentre quelle immagini venivano proiettate tra i frammenti lucenti della realtà, le lacrime che arrivavano e il senso di solitudine e i pensieri, ancora, come trappole che si aprivano nello spazio che avevo intorno e ritornavo nel passato, nei corridoi, negli echi di discorsi che volevo solamente scordare, tra i volti di chi avevo deciso non avrebbe più dovuto fare parte della mia vita e ancora il dolore, quando i ricordi si fermavano e c’era il tuo viso e la sua tristezza e anche tutti i momenti in cui ti ho amata, in cui sapevo perfettamente il motivo della mia scelta, perché eri stata così importante. C’era bisogno di tempo e di distanze, di altri addii e altre separazioni e la pioggia che arrivava con il suo leggero sussurrare e tutte le cose che avevo voluto perdere e anche le domande, se avessi fatto bene, se le mie decisioni fossero state quelle giuste e sapevo, dentro di me, che sarei solamente dovuto andare avanti, che non aveva senso ripetere gli stessi errori di sempre. C’erano inganni di cui non volevo più fare parte, c’erano respiri che avrei voluto far diventare ancora più lunghi e intensi, seduto tra le radici scoperte di un albero, la mia e la sua esistenza, diverse eppure identiche, ci ascoltavamo senza parlare, aprivo gli occhi, il giorno aveva domande a cui non avrei risposto, guardavo fuori dalla finestra, le montagne che non esistevano apparivano in tutta la loro bellezza.

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