la realtà urbana girava intorno alla fernsehturm come
un quarantacinque giri su un grammofono, i treni come puntine, le rotaie come
solchi sul vinile metropolitano, le stazioni erano pause nel movimento, le
enormi volte di metallo, archi e curve di ferro – il rumore ovattato delle
auto, i continui cambiamenti di scena, le quinte architettoniche che si alzano
e si abbassano, le variazioni prospettiche, il corpo imponente di una donna, la
sua pelle di bronzo ossidato, fredda e bluastra, le braccia alzate in un gesto
di sorpresa-imbarazzo-timore, le vesti che scivolano, quasi a cadere, lasciando
la sua schiena nuda, un ginocchio piegato, le piante dei piedi, un ordine ad
arrendersi.
I locali si nascondevano dentro i palazzi, le scritte
lungo i muri delle scale, porte anonime che andavano spinte, poi la musica, il
fumo delle sigarette, la birra, tanta birra, le ragazze che avrei voluto
conoscere o semplicemente baciare senza neanche saperne il nome, le fantasie
dei rami neri, le notti che i sogni fuggivano, le storie proibite di una città
ancora da costruire, i capelli rosa di una ragazza che scompaiono dietro un
angolo del passato.
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