venerdì 15 aprile 2016

Roma #8

forme cilindriche enormi, stagliate contro un cielo blu elettrico, assi di metallo iridescenti, poliedri che tendono all’infinito, l’occhio solare guarda fisso le strutture industriali della città, abbandonate e silenziose - le scritte e i disegni sui muri si avvolgono su se stessi, serpenti di vernice, alfabeti futuri, calligrafie distorte in spirali visive.

frammenti di vetro sull’asfalto, l’ombra della mia mano che scrive, il terzo occhio stenopeico, fotografie della mente, obiettivi e scatti, i richiami delle cornacchie grigie, i fili di gramigna che vibrano luminosi nell’aria, i colori improvvisi delle margherite, dei papaveri, del tarassaco e delle campanelle, il rumore distante di un treno che attraversa un ponte di ferro, i sussurri di un fiume alle mie spalle, la ruggine che divora le forme ferrose per crearne di nuove, i profili dementi del cemento, gli alberi spogli che attendono frusciando la voce della primavera.

i mattoni sbiaditi delle facciate delle vecchie fabbriche, le orbite vuote di finestre scomparse, gli sguardi ebeti e oscuri, il cilindro fallico di una canna fumaria, eiaculazioni invisibili in nuvole invernali, le ringhiere di metallo, gabbie per bocche senza più nulla da dire, i latrati di un cane legato ad una catena, due ragazzi sotto acido che ridono seduti sul bordo della loro giovinezza – una zingara che appare tra i rovi e i resti della fabbrica, una sigaretta accesa in mano, il luccichio dei pezzi di vetro attaccati a dei fili, le oscillazioni nel vento e le visioni catarifrangenti, i fiori misteriosi di una pianta esotica, gli stami poliandri, rossi come filamenti incandescenti, le parole mai dette, le ali scure dei corvi che disegnano ombre sulle antiche pareti del passato.


I mulinelli d’aria e la danza delle foglie secche, il fiume fluiva, orizzontale, opaco e placido, sulla riva opposta le baracche dei miserabili, gli scarti delle vite degli altri, rubati dai cassonetti e portati su quei fangosi pendii, un tappeto di sporcizia e foglie morte, un mosaico inutile di rifiuti ammucchiati ovunque, in composizioni caotiche e folli, la vita continuava, intorno a me, la osservavo, in perfetto equilibrio, i treni scivolavano lucenti sul ponte di ferro, le destinazioni erano ignote, i binari non avevano inizio e non avevano fine, andare era solo il sogno proibito dell’immobilità, noi eravamo qui e ora e per sempre.

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