sabato 2 aprile 2016

Roma #6

Camminavo fuori dal mercato, tra le cassette di legno e di plastica accatastate, gli avanzi delle verdure, rovistavo, in una busta mettevo tutto quello che mi sembrava commestibile o potesse essere cucinato. Le nuvole nel cielo erano grandi e bianche e si muovevano lentamente. I piccioni si posavano sull’asfalto, i movimenti compulsivi del collo, le improvvise danze di corteggiamento, le piume che si gonfiavano. Mi sono seduto su dei gradini, il sole era piacevole, ho preso un pomodoro mezzo ammaccato dalla busta di plastica e gli ho dato un morso. Ho bevuto acqua fresca da una fontanella.
Sono tornato verso la baracca, nei miei strati di vestiti, camminando piano, i riflessi nelle vetrine, il mio volto scavato.
Ho preparato un minestrone con le verdure che avevo trovato al mercato. Le ho messe dentro una pentola, ho riscaldato l’acqua sulla stufa, ho aspettato che le verdure si cuocessero.
Fuori, nel giardino, avevo sistemato un’amaca fra due tronchi di alberi. L’avevo trovata arrotolata vicino ad un cassonetto. Avevo ricucito con dello spago spesso le parti che erano bucate. Mi sono steso sopra, ondeggiando nell’aria. Gli occhi chiusi. La luce filtrava tra le nuvole, improvvisa, baciando le mie palpebre.
Mi sono seduto su una cassetta di legno rovesciata, la schiena appoggiata ad una delle pareti di legno della baracca, ho mangiato il minestrone in una ciotola di terracotta, ho bevuto acqua da una bottiglia di vetro.
Sono rimasto seduto, dopo, a guardare i treni che passavano, poco distanti.

La vita era reale.

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