Camminavo fuori dal
mercato, tra le cassette di legno e di plastica accatastate, gli avanzi delle
verdure, rovistavo, in una busta mettevo tutto quello che mi sembrava
commestibile o potesse essere cucinato. Le nuvole nel cielo erano grandi e
bianche e si muovevano lentamente. I piccioni si posavano sull’asfalto, i
movimenti compulsivi del collo, le improvvise danze di corteggiamento, le piume
che si gonfiavano. Mi sono seduto su dei gradini, il sole era piacevole, ho
preso un pomodoro mezzo ammaccato dalla busta di plastica e gli ho dato un
morso. Ho bevuto acqua fresca da una fontanella.
Sono tornato verso la
baracca, nei miei strati di vestiti, camminando piano, i riflessi nelle
vetrine, il mio volto scavato.
Ho preparato un
minestrone con le verdure che avevo trovato al mercato. Le ho messe dentro una
pentola, ho riscaldato l’acqua sulla stufa, ho aspettato che le verdure si
cuocessero.
Fuori, nel giardino,
avevo sistemato un’amaca fra due tronchi di alberi. L’avevo trovata arrotolata
vicino ad un cassonetto. Avevo ricucito con dello spago spesso le parti che
erano bucate. Mi sono steso sopra, ondeggiando nell’aria. Gli occhi chiusi. La
luce filtrava tra le nuvole, improvvisa, baciando le mie palpebre.
Mi sono seduto su una
cassetta di legno rovesciata, la schiena appoggiata ad una delle pareti di
legno della baracca, ho mangiato il minestrone in una ciotola di terracotta, ho
bevuto acqua da una bottiglia di vetro.
Sono rimasto seduto,
dopo, a guardare i treni che passavano, poco distanti.
La vita era reale.
Nessun commento:
Posta un commento