giovedì 28 aprile 2016

Berlin #18



Le colazioni che facevamo nelle piccole baracche, costruite lungo le rive fangose di un canale, le sedie, le panche, i tavolini, tutto di legno, qualcuno portava i propri figli, ancora piccoli e li lasciava ridere ed agitarsi, perché la vita era presente, nel sangue e nei giochi e loro si muovevano tra gli adulti seduti, per finire intrappolati fra le braccia di quei genitori che volevano fermarli e i bambini strillavano di gioia ogni volta che riuscivano a liberarsi e il sole illuminava il loro volto e le piccole e lisce mani frenetiche, la luce arrivava obliqua e c’era polvere dietro e davanti le finestre e in ombra, sulla riva opposta, le assi e le tavole del club du visionaire, la musica che venivamo ad ascoltare, tutta la notte, quando riuscivi a trascinarmi fuori dalla stanza, sorridente, seguivo la tua pelle, il suo odore, ovunque mi portasse, quel sentirsi capiti, quel trovarsi al sicuro, quando c’erano le tue braccia a stringermi, i treni gialli della u-bahn che passavano sopra kottbusser tor, mentre eravamo dentro al monarch, bevendo birra e gin tonic, attendevo gli sguardi delle ragazze, i loro inviti che non arrivavano, perché non sapevo coglierli, ci sarebbero state altre possibilità o il mio tempo era passato? Bevevo asbach urbrand da una piccola bottiglietta nella sala d’attesa dell’aeroporto di tegen, gustandomi dei cioccolatini ripieni di marzapane, le cosce tornite di una ragazza che legge una rivista, seduta davanti a me, gli occhi che si incontrano veloci, le giovani labbra che fremono, forse desiderose di succhiare qualcosa – ho lasciato le chiavi dell’appartamento su un tavolino basso, nel corridoio, sotto uno specchio, la mia immagine riflessa era nitida e chiara, ci chiediamo sempre se abbiamo dimenticato qualcosa prima di chiudere una porta, poi scendiamo le scale, senza voltarci - odori familiari, ogni incontro è destinato a ripetersi.

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